MOMA

MOMA

sabato 2 agosto 2008

31.7.08. h 16.40
Qiaotou.

Dormo male questa notte, non so se per il pollo unto del Kentucky o perchè hanno operato il Guerro. Mi dispiace non essere lì con lui ma è grande e grosso, anche se penso che per un po' dovremo rinviare una bella bevuta.

Mi alzo alle 7.30 con l'idea di affittare una bicicletta e andare fino a Baisha, dove ci sono delle pitture murali di epoca Ming , anche queste patrimonio Unesco. L'aria è frizzante, mi attardo a colazione dall'ottimo Lamu's, anche se la colazione non è abbondantissima, e intanto la voglia di faticare diminuisce sempre di più. Mi avvio, tuttavia, verso il primo deposito di biciclette: 15 yuan per il giorno intero, pochissimo per gli standard di Lijiang, tant'è che chiedo se non sono 50, e 400 yuan di cauzione.
“400 yuan???!!!”
Ecco, è proprio la scusa che cercavo per non dover prendere la bici e fare una sgambata di appena 8 chilometri.

E scelta più azzeccata non fu mai fatta. Alle 9 del mattino i negozi sono ancora quasi tutti chiusi, c'è solo qualche turista ancora addormentato che cammina lentamente. Uno dei pochi negozi aperti, e uno dei più famosi a Lijiang, in base ai tanti attestati con medaglie stampate e caratteri cinesi, è quello di un calligrafo un po' particolare. Atleta, così dicono le fotografie appese in cui lo si vede tagliare il traguardo con le “braccia” alzate; personaggio famoso, con il Principe Carlo che gli picchia una mano sulla spalla. Il più importante degli attestati, messo in bella mostra, è quello del CIO e datato 2008, in quanto il proprietario è stato uno dei tedofori della torcia olimpica nei mesi passati.
Cosa c'è di strano in questa calligrafo, l'arte di tracciare i complessi caratteri cinesi, i cui puristi dicono che lo stato d'animo stesso possano influenzare la bellezza e significato, andando a modificare lo spessore e la trama dell'inchiostro? Semplicemente che non ha le braccia. Traccia i caratteri cinesi tenendo il pennello tra le labbra e i denti, ha portato la torcia olimpica grazie a un arto meccanico legato al busto.

Mi perdo tra le stradine di Lijiang scoprendo posti ancora più belli, o forse lo sono perchè c'è in giro poca gente. Soprattutto, per gustare appieno Lijiang bisogna andare a est della Piazza del Mercato, dove un dedalo altrettanto bello, altrettanto intricato di stradine lastricate è pressoché sconosciuto al turismo. Niente negozi di souvenir, niente bar dai nomi fantasiosi occidentali (Cafè Praga per esempio) ma solo botteghe per la gente del posto. In giro solo persone in abiti tradizionali, ma non quelli in poliestere appena tirati fuori dalle confezioni di plastica con cui si vedono le persone in giro per Lijiang Vecchia, anziani e persone adulte con i vestiti consunti dall'età anche se immacolati. L'acqua stessa sembra veramente più cristallina, tant'è che c'è chi attinge con una scodella di metallo l'acqua dai canali e si lava i denti o lava i panni, così, lungo la strada.
Pian piano, senza sapere né come ho fatto né come ritornare nello stesso punto, mi ritrovo in uno slargo, dove confluiscono 4 strade, c'è uno dei pochi edifici in muratura e alto 4 piani, probabilmente sede di qualche ufficio statale o politico, con una grande stella sul frontone che un tempo sarà stata rossa, ora è semplicemente più grigia del resto dell'edificio, ormai abbandonato. Agli angoli delle anziane che vendono frutta e un vecchio che si sta pulendo bronchi e alte vie aeree con ruggiti e sputi da gara.

Faccio il check- out puntualmente alle 12, in Cina la puntualità è sacra, cosa che non avrei ma detta, e comunico in qualche modo con la ragazza del check- in che sono seduto nel bar di fronte a bere qualcosa, qualora Sean dovesse arrivare a cercarmi. Non faccio a tempo a sedermi sulle sedie di vimini con i cuscini colorati e ad attaccare il caricabatteria del computer alla presa della corrente, a chiedere informazioni sulla Gola a dei ragazzi seduti accanto a me che sento stanno ricordando degli episodi, che un ometto basso, scuro di carnagione, come lo può essere un Tibetano o un Nepalese, dai caratteri somatici cinesi ma non Han, baffetti e capelli lunghi raccolti in una coda, mi chiede se sono Max.
E' Sean che è arrivato prima, anzi è arrivato addirittura alle 11 ma ha fatto un giro per Lijiang intanto che attendeva. Chiacchieriamo del più e del meno per qualche minuto, è arrivato prima perché é stato in ospedale per un forte mal di schiena (domani farò la camminata nella Gola con la figlia, lui va alla guesthouse in auto), ma deve avere dei seri problemi articolari, dal momento che la mano sinistra è focomelica, la destra ha dei chiari segni di artrosi. Ha solo 43 anni ma ha un aspetto indefinito.

Usciamo da Lijiang vecchia dove un minivan a 7 posti ci aspetta, l'autista e la cuoca della guesthouse che è scesa a fare provviste, una bella ragazza di etnia indefinita, dai lineamenti delicati, le mani curate e vestita, raffinata e pulita seppure in jeans e non vestita alla moda.
Prima di uscire da Lijiang, l'autista carica sul minivan già colmo un cartone qua, uno là, ogni tanto riceve una telefonata su un cellulare con il logo delle Olimpiadi (mi spiega Sean che il Governo centrale impone, oppure sono scelte personali con un certo tornaconto, di esporre sulle facciate di alcuni luoghi pubblici, come anche sul minivan, bandiere o autoadesivi) “BEIJING 2008” e un'orribile “Thriller” di Michael Jackson con strumenti cinesi, torna indietro a prendere un sacchetto, le medicine per una persona dei villaggi lungo la strada.

La strada che porta alla Gola attraversa delle colline con una vegetazione strana per questi posti, almeno per il concetto che ho io dell'Asia, pini e solo pini.
Ci sono lunghi stradoni con bancarrelle o solo delle sedie piene di cestini di pesche rosa, questa è la zona delle pesche vedendo i tanti cartelloni pubblicitari che le reclamizzano. Le macchine che devono fare acquisti non si fermano sul ciglio della strada ma esattamente in mezzo alla carreggiata, bloccando le poche macchine in transito.
L'autista del minivan finisce una bottiglietta di Sprite e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, la getta dal finestrino; prende poi uno stuzzicadenti che era infilato nelle griglie dei diffusori dell'aria (pensavo che servisse a tenere fermo qualche ingranaggio ma mi sbagliavo), passa dente per dente sputando dei residui fuori dal finestrino e poi lo rimette al suo posto.

Si possono fare 8.000 chilometri solo per vedere un fiume melmoso, marrone come il legno delle baite di montagna, fare una curva a 180 gradi e invertire il suo corso? Nel mio caso sì, questo è il senso di questo viaggio.
Il fiume Yangtze, che nasce al confine tra il Tibet e un'altra provincia che, per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare, fa una lunga curva verso sud- est e dopo un migliaio di chilometri, improvvisamente, nei pressi di Shigu, inverte il suo corso dirigendosi a nord. Una montagna si tuffa nel fiume sulla sponda nord, il villaggio di Shigu a sud, insignificante ma capace di sfruttare la propria posizione prima con un forte militare, ora con un casello che riscuote un pedaggio di 10 yuan in entrata e 10 yuan in uscita.
Nell'immaginario Cinese, questa zona è importante perché ha evitato che il fiume Yangtze uscisse dalla Cina sfociando, probabilmente, nel Mar Cinese Meridionale come il Mekong, che scorre a qualche decina di chilometri a est.
Mi piace fantasticare su cosa sarebbe successo se non ci fosse Shigu con la famosa “Prima Piega dello Yangtze”.
Non esisterebbero Nanchino e Shanghai; Mao non avrebbe fatto la traversata negli anni Trenta durante la Lunga Marcia, durante la quale morirono 72.000 degli 80.000 comunisti in fuga (ritirata strategica dall'esercito del Kuomintang o fuga, chiamatela come volete); Hanoi sarebbe la Shanghai attuale perchè probabilmente il fiume sarebbe sfociato qui; non ci sarebbe stata la Guerra del Vietnam perchè gli stati occidentali si sarebbero spartito il Nord Vietnam già nella seconda metà dell'Ottocento, come fecero con Shanghai; Hong Kong sarebbe sempre rimasta Cinese, perché in seguito alle due Guerre dell'Oppio l'Occidente avanzò richieste su questa e quella città, e non avremmo macchine fotografiche e schede di memoria su E- Bay a metà prezzo provenienti da Hong Kong; Shanghai non sarebbe il motore trainante dell'incredibile aumento del PIL cinese (da diversi anni sopra il 12%) e la Cina non avrebbe potuto comprare (o ricattare il mondo occidentale) le Olimpiadi di quest'anno; la Cina sarebbe solo quella del bacino del Fiume Giallo, a nord (mi chiedo perché lo Yangtze, con le sue acque torbide, sia chiamato “Fiume Azzurro” in Occidente).
Ma se proprio la si vuole dire tutta, il nome “Prima Piega dello Yangtze” è dovuto al fatto che, dopo essere uscito dalla Gola del Balzo della Tigre e dopo un centinaio di chilometri dalla prima curva, il fiume, che si sta dirigendo a nord- est, fa un'altra curva di 180° e inizia a farsi orizzontale fino a sfociare dove c'è Shanghai. Perchè questo punto non è la “Seconda Curva dello Yangtze”? Perchè il villaggio non è altrettanto famoso e non riscuote 10 yuan su ogni macchina in entrata? Eppure questo punto è altrettanto importante perché evita che il fiume esca dalla Cina dirigendosi verso la Mongolia e la Siberia.
E fantastico ancora: Shanghai sarebbe nel Mar Artico; in Mongolia non ci sarebbero yurte nel deserto ma foreste e villaggi sul fiume; la Grande Muraglia avrebbe un ponte sullo Yangtze.

Arriviamo a Shigu, forse l'attesa era tanta che tutto sommato non mi emoziono più di tanto, sarà ma l'unico punto dove si può essere al centro della piega è sfruttato da un centro di rafting sullo Yangtze, con canoe e gommoni a motore che portano i turisti in escursione. Anche qui sono arrivati!! L'atmosfera è sonnolenta, i “barcaioli” dormono tutti all'ombra dei gazebo, al riparo dal sole che oggi è implacabile anche se non fa proprio così caldo come potrebbe essere. Mi chiedo come sia stato possibile fare tutte le fotografie aeree della Prima Curva che si trovano sui libri e su Internet, giro le spalle al fiume e guardo se c'è qualche villaggio sulle colline dietro Shigu. Macchè, solo alberi e fitta vegetazione, interrotta da qualche pilone della luce. Chiedo a Sean come è possibile fare quegli scatti e mi risponde che ci sono due possibilità:
1.arrampicarsi sulla collina;
2.prendere l'elicottero privato che da Lijiang dà escursioni di 1 ora.

Torniamo sulla strada principale per Qiaotou e ci fermiamo in un posto per i camionisti locali, una bettola lungo lo Yangtze in cui solo un pazzo può fermarsi anche solo per pisciare. Invece, non solo cerco un cesso (cesso, non toilette nemmeno bagno, dal momento che sono dei loculi stretti in muratura infestati dalle mosche con un canale lungo e stretto senz'acqua dove depositare i propri scarti) ma mi accomodo per un pranzo a base di riso, carne di maiale e bufalo, teste di aglio e verdure varie cotte al vapore.

L'importanza dello Yangtze è testimoniata dal fatto che, lungo tutto la strada che costeggia il fiume, non c'è un sol chilometro in cui non ci sia un agglomerato di case, con gente che lavora accudendo le bestie o coltivando i campi.

Dopo una serie di fermate in un paese fantasma, costruzioni nuove, dai colori accesi e desolatamente chiuse che fiancheggiano l'unica strada, per consegnare i vari pacchi, arriviamo a Qiaotou, o Tiger Leaping Gorge Town come recitano i primi cartelli bilingue che incontro da Kunming. Di “town” ha solo il nome in quanto ha solo la fermata dei pulmann che collegano la zona con Lijiang e Zhongdian, una serie di ristoranti, una sala da gioco e un “grand hotel” dove risiedo, proprio dove si incrociano le uniche tre strade. Sono l'unico occidentale in quest'hotel e forse l'unico ospitato, dal momento che sembra aperto solo per me, un ragazzo guarda dormendo la televisione, la ragazza alla reception non spiccica una parola di Inglese, nemmeno “hello”. La camera, seppure grande con due letti a una piazza e mezza e con bagno privato, è sinora la peggiore trovata. Meno male che sembra pulita, anche se è una pulizia apparente perché è impossibile tener pulito un hotel che vedrà si e no un centinaio di persone all'anno disperse su una cinquantina di camere.

Inizia a piovere proprio mentre sto per uscire a fare un “giro del paese”, uno stradone a sinistra e uno a destra che si uniscono un chilometro più a nord, a circondare Quiaotou, per poi proseguire fino a Zhongdian, Diqing ed entrare in Tibet. Lascio un biglietto per Rosey, questo è il nome “Occidentale” della figlia ventiduenne di Sean, con scritto che sono al bar di fronte. Lo consegno alla ragazza che mi guarda come se fossi un alieno anche se capisce qualcosa perchè si porta la mano destra all'altezza del braccio sinistro, a indicare la menomazione di Sean. Entro in uno dei tanti bar che, come avvoltoi, attendono gli escursionisti stremati e assetati alla fine della Gola, c'è solo l'imbarazzo della scelta anche perché sono tutti vuoti, solo qualche poliziotto che non ha nulla da fare e ha parcheggiato la macchina proprio davanti all'ingresso. Tutti i bar costeggiano il torrente lungo cui si è sviluppata Quiaotou e che, un chilometro poco più in basso, si getta nello Yangtze. E' un torrente in piena, le solite acque torbide e marroni creano gorghi, rimbalzano sulle rocce che non si vedono e sembrano tornare indietro, tutt'altro che l'aspetto placido dello Yangtze pochi chilometri più a monte, anche se scorre calmo solo ad una prima occhiata, in quanto sotto una coltre tranquilla si nasconde un fiume maestoso e potente.



Con Rosey e il fidanzato, un atleta di “arti marziali”, come ben dimostra il fisico asciutto e definito, andiamo a mangiare nella strada che costeggia Quiaotou a ovest, la “via dei negozi”, tutta botteghe, ristorantini, empori, una serie di edifici commerciali per cosa non si sa, l'immancabile China Mobile e un Internet Point al secondo piano di un edificio fatiscente, pieno di ragazzi e ragazze vestiti alla moda di Shanghai (che non so come sia ma così diversa dalla semplicità e, tuttavia, eleganza delle persone incontrate fin'ora), pantaloni attillati entrambi, scarpette lei e simil All Star lui, con pantaloni corti inguinali e calze tipo autoreggenti, tutti ad ascoltare musica, chattare e giocare ai videogiochi (1 ora di connessione ADSL 6 yuan, circa 50 centesimi di euro).
Mangiamo in un buco che, al confronto, quello di oggi a pranzo era “Vittorio”, una specie di garage buio e trasudante umido, unto e sporco, i fili elettrici spellati e penzolanti, un ventilatore che ha almeno due dita di rutto sulle pale. Tuttavia la cena è ottima, ma veramente ottima, presentata in maniera impeccabile su dei piattini di ceramica decorata: manzo con gelatina di uova, pasticcio di uova con i pomodori, manzo in brodo con peperoncino e spezie, frittata di patate tagliate a striscioline sottili, l'immancabile riso e the. Qui mentre si mangia si beve solo the, probabilmente perché è il modo più sicuro di bere acqua, dopo averla fatta bollire, insaporita con qualche foglia di the.

Mentre mangiamo, Rosey, una ragazza piccolina come il padre ma con i lineamenti meno marcati e induriti dalla fatica, carina e gentile, mi dice che domani è il suo compleanno.
“Domani è il tuo compleanno?”
All'inizio penso che si è spiegata male o non capito io, che intendesse che domani è il mio compleanno, invece saremo in due a compire gli anni. Non ci crede e le devo mostrare il passaporto, dopodiché vedo che confabula con il fidanzato (come se potessi capire qualcosa di questa lingua quasi incomprensibile, dopo un po' i suoni che sento si ripetono abbastanza spesso) che sparisce per qualche minuto.
Usciamo dal “ristorante” e mi dà appuntamento alle 20.30 in hotel, faccio un giro di 5 minuti in paese, non perché sia stanco ma perché ci vogliono cinque minuti cinque per percorrere l'unica strada.
All'orario stabilito si presenta con il fidanzato e un'enorme torta tutta ricoperta di panna montata decorata con rose colorate anch'esse di panna montata.
Saliamo in camera, liberiamo l'unico tavolino con un dispenser dell'acqua e festeggiamo con tanto di candeline e corona per entrambi. Una sorpresa inaspettata e, proprio perché fatta da due ragazzi che conosco da appena 2 ore, ancora più gradita.

Ci diamo appuntamento domani mattina alle 6, meglio partire presto perché oggi è stata una giornata bellissima, con il sole forte e implacabile (mi sono abbronzato il solo braccio destro che avevo fuori dal finestrino) del pomeriggio la camminata nella Gola, già di per se impegnativa e quasi improponibile per la mia preparazione fisica, sarebbe un inferno.

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