MOMA

MOMA

giovedì 7 agosto 2008

04.8.08. h 21.30
Chengdu

Anche questa mattina una levataccia incredibile anche se, come potrò constatare, mi hanno fatto perdere almeno mezz'ora se non un'ora di sonno.
Sveglia alle 5.00, non so perché dal momento che l'aereo parte alle 8.20 e il taxi che mi porterà in aereoporto è prenotato per le 6.00. Vabbè, risulta difficile spiegarsi anche perché non capiscono una frase in inglese al di là di “thank you” e “hallo”.
Come immaginavo alle 5.20 sono giù al bancone della hall che guardo un'impiegata con una giacca a vento dietro il bancone che si riscalda con una stufa elettrica. Incredibilmente c'è un tanta gente in partenza, tant'è che il ristorante per la colazione è già aperto, anche se per me non fa differenza dal momento che questa mattina mi hanno tolto almeno la metà del cibo commestibile, gli gnocchi cotti al vapore e gli pseudo- wurstel.

Salgo sul taxi alle 6.00 in punto (ho scoperto con piacere che la puntualità è un valore cui i Cinesi tengono molto, tanto quanto i Giapponesi) e dico “airport” al ragazzo che guida, ancora assonnato. Vedo che si dirige verso nord quando l'aereoporto dovrebbe essere circa 5 chilometri a sud- ovest di Zhoongdian. Dopo un cinque minuti mi lascia davanti al bivio nord della strada principale di Zhongdian, davanti a un edificio enorme, chiuso da pesanti grate di ferro arrugginite e buio. Tutto è buio attorno, ci sono solo pochi taxi con la luce rossa accesa sul cruscotto, a indicare che è libero, e gli spazzini che camminano pericolosamente in mezzo alle strade buie, senza lampioni.

Santo Frasario! Cerco mezzo incazzato e alzando la voce, cosa disdicevole in Cina, l'equivalente in caratteri cinesi del temine aereoporto, pronuncio le tre parole magiche fei-gi ciang, fei-gi che significa aereo, ciang , e intanto faccio vedere i caratteri cinesi. Sento che borbotta mentre ride e, a rotta di collo, fa inversione e si precipita a sud, schivando all'ultimo momento per il buio cani, spazzini e carretti a motore.

Arriviamo in aereoporto alle 6.15... E' CHIUSO!!
Una barriera metallica automatizzata sbarra l'accesso, un militare fa capire a gesti che è ancora chiuso (grazie al cazzo, lo capivo anche da me), gli faccio cenno che parto alle 8.00 e, solo dopo un breve conciliabolo con il taxista, sposta la barriera. Vengo scaricato davanti ai cessi perché è l'unica struttura con le luci accese, non si vede nulla anche perché c'è ancora buio, non c'è un anima viva, solo la luce della torre di controllo è accesa anche se non si vede nessuno, nemmeno l'ombra. Fa un freddo becco, nonostante felpa e giacca a vento, le mani ghiacciate, cammino avanti e indietro sperando che l'aereoporto apra al più presto (ma in Cina non bisogna arrivare due ore prima come mi era stato detto a Kunming?).
Arriva finalmente qualche taxi, poi qualche macchina che scarica ragazzi in un ufficio. Dopo pochi minuti sento degli slogan urlati e ritmati, qualcosa mi fa capire che di lì a breve l'aereoporto aprirà. Infatti, all'improvviso, come la luce dell'alba che nel giro di pochi minuti arriva da dietro le montagne a est e si passa dalla notte al giorno, escono da una porta alla spicciolata decine di ragazzi in uniforme blu. Arriva “l'uomo delle chiavi” che apre le porte dell'aereoporto e finalmente si riempie di vita.
Persone saltano fuori come funghi da dietro le bancarelle di souvenir, una donna sta passando uno straccio su un pavimento pulito: la mania della pulizia è incredibile anche se, nonostante gli sforzi, spesso le condizioni igieniche siano disastrose.

Il volo Zhongdian- Kunming dura 45 minuti, posto sfigato “vicino al finestrino” può significare anche che sei contro la carlinga dell'aereo nell'unico punto dove non c'è l'oblò. Passati i primi istanti di claustrofobia, anche perché il volo è un low- cost della China Eastern Airlines, lo stesso apparecchio della Ryanair con sedili stretti senza possibilità di reclinarli, mi rilasso cercando di finire il libro di Bettinelli, anche perché sotto di noi c'è una distesa impenetrabile di nuvole grigio scuro.

L'aria di Kunming è diversa, ero così abituato, ormai, a respirare aria pura anche se rarefatta, che la prima boccata appena uscito dall'aereo mi sembra di respirare sott'acqua: umidità, caldo, aria pesante e odorosa, di smog, di pioggia.

Alle 13.10 il secondo volo che mi porta a Chengdu, la capitale del Sichuan, colpito da un devastante terremoto lo scorso maggio che ha lasciato sotto le macerie si pensa 80.000 persone.

Incontro Ale al ritiro bagagli, ha fatto un buon viaggio e questo è il modo migliore per iniziare il giro per il centro della Cina.
Prendiamo un autobus che per 12 yuan a testa porta nel centro di Chengdu, circa 20 minuti che potrebbero essere la metà se non ci fosse il traffico peggiore incontrato da Kunming ad oggi, un delirio di auto, autobus e motorini. Fa caldo, non so se non sono più abituato a questo clima dopo 9 giorni al fresco e con umidità zero, sembra di essere in piscina, caldo, odore di acqua, braccia e faccia umide, maglietta che ti si appiccica addosso anche solo stando fermi. Eppure ci sono appena ventotto gradi, ma la nebbiolina che aleggia sulla città fa pensare a un'umidità prossima al cento per cento.
Intanto uno scroscio di acqua serve solo a peggiorare la situazione, con le strade che si allagano e che inzuppano i bagagli quando li scarichiamo dall'autobus. Di prendere un taxi nemmeno per sogno, sono tutti occupati nonostante mi sbracci quasi in mezzo alla strada, sfidando i motorini. Vedo un carretto a motore, tipo risciò o tuc-tuc thailandesi, gli faccio cenno con la mano e arriva un vecchio con i pochi denti rimasti tutti neri e divorati dalle carie. Gli chiedo quanto vuole e mi risponde 20 yuan, mi stupisco come riesca a capire questi elementarissimi discorsi, quando l'anno scorso in Giappone o gli altri anni negli altri paesi le parole delle persone sembravano suoni astrusi, senza senso.
Ci carica con i bagagli addosso e, tutti sporchi, ci scarica al Yinhe Dynasty Hotel, proprio accanto alla grande piazza con la statua bianca ed enorme di Mao che guarda a sud e, con la mano destra tesa, indica la strada da seguire. Dove, verso l'aereoporto?

Gli uscieri non lo vogliono fare entrare ma, quando vede che dietro ci siamo seduti noi con in mano la prenotazione fatta via Internet, compaiono improvvisamente dei sorrisi e un facchino esce con il solito carrello porta bagagli.
L'hotel è un gigantesco edificio di otre venti piani, marrone, cinese in tutto e per tutto, marmi in terra e hall enorme, che sente il peso degli anni nonostante una donna continui a passare lo straccio in terra e delle Stelle di Natale proprio all'ingresso a dare un tocco di colore. Stanza al decimo piano con vista “lavori in corso”, anche questa sente il peso degli anni ma è pulita e spaziosa. Ovunque nelle camere e nella hall ci sono cartelli informativi sui controlli che sono stati fatti in hotel a seguito del terremoto, con la perizia di ingegneri tedeschi: ma perché in Cina non siete capaci? La stessa cosa la raccontava Sean, riguardo un progetto di diga a valle della Gola del Balzo della Tigre che, sommergerà questa meraviglia della Natura. Il Governo di Pechino ha chiesto un progetto di fattibilità a degli ingegneri tedeschi, anche se poi il tutto è sospeso in quanto ci sono le Olimpiadi e un mucchio di Renminbi sono stati spesi per tirare a lucido il Paese.

Usciamo nella cappa di Chengdu e facciamo due passi nelle vie attorno alla piazza, centri commerciali di ogni tipo, vicoletti con mercati coperti e un caldo da svenire, da souk di Marrakech, KFC a ogni angolo di strada con un rapporto di 1:3 rispetto ai McDonald's, negozi Nike con la collezione di qualche anno fa e, incredibilmente una città pulita, ordinata (i motorini e le biciclette rigorosamente parcheggiate una accanto all'altra), senza sputi o mozziconi di sigaretta in terra. Che forse qualcosa stia cambiando nella coscienza civile dei Cinesi? Anche se non si possono giudicare delle abitudini solo perché da noi sono considerate segno di maleducazione, come non si può definire stupido un Indiano perchè non mangia la carne di vacca, o un Musulmano perché reputa il maiale impuro o, guardando sotto un altro aspetto, siamo noi degli schifosi agli occhi dei Cinesi perché teniamo per ricordo i nostri fluidi corporei in fazzoletti appallottolati in tasca.

Finiamo nella piazza principale, Tianlu Square come riporta la mappa che ci consegna l'hotel, una piazza enorme (seconda in Cina solo a Piazza della Tienanmen) con un statua bianca di Mao Tse Tung a indicare la via dall'alto di un piedistallo in marmo alto quanto la statua, alle spalle il Centro Esposizioni, una piazza con tante fontane che dovrebbero fare giochi d'acqua ma che, nonostante diverse persone si affollino ai bordi delle vasche, funzionano una qua e una là, senza particolare effetto scenografico. Girando irriverentemente le spalle al Grande Timoniere, osservo cosa probabilmente Mao vuol far vedere, la trasformazione della Cina da un paese di contadini prima e di operai poi, “incapace di mandare in orbita una patata”, a una serie di centri finanziari ovunque ci sia una città capitale di provincia, che sia Chengdu, Urumqi, Kunming o Shanghai. Grattacieli ovunque, a specchio, a punta, con le immancabili Torri Eiffel in cima, rivestiti di cartelloni pubblicitari di marche più o meno originali, da Parkson a Roewe (un'autovettura identica alla Rover) a Nike a un prodotto alimentare ignoto con la faccia pulita di Kakà, alcuni ancora in costruzione e, nelle strade secondarie abbandonati per probabile mancanza di fondi. Intanto per le strade sentiamo “Happy birthday to you” in continuazione, non capiamo da dove arriva finché non vediamo che sono i camion della nettezza urbana che inondano le strade di acqua, strade che successivamente vengono spazzate da operatori ecologici (che qui in Cina immagino si chiamino ancora spazzini) a piedi nudi.

Cerchiamo un posto per la cena, a ovest del parco Renmin c'è una via ricostruita in pieno periodo Qing, Quintai Lu, decidiamo di andare a cercare un ristorante in questa “via interessante piena di gioiellerie e ristoranti”. Solo il percorso merita una passaggiata, anzi scarpinata di quasi un'ora, perché appena si attraversa l'incrocio con Tiaanfu Square si esce dalla Cina del futuro e si entra nella Cina contemporanea o del recente passato, strade buie ma pulite, bancarelle che vendono cibo, bandierine delle Olimpiadi (i Cinesi stanno impazzando e impazzendo per le Olimpiadi), cartomanti che ci invitano sullo sgabello per leggerci le carte come se potessimo capire qualcosa, gabbie di cuccioli di cane in vendita, i soliti alimentari pieni di cianfrusaglie.
La via in periodo Qing è una delusione, una parata di gioiellerie con ristoranti cinesi di lusso e un “Portofino”, cucina italiana e ambiente di classe.
Finiremo per mangiare in un ristorante cinese sulla via del ritorno, due cameriere al nostro tavolo cui cerchiamo di farci portare acqua minerale in bottiglia ma che, nonostante un commensale che “parla” inglese (capirà Boston per bottle), riusciranno a portarci solo acqua calda con foglie di the, un'anatra laccata solo ossa e cotenna spessa e gommosa (una prelibatezza che non riusciamo ad apprezzare) e una piccantissima zuppa di funghi con qualche pezzetto di carne di manzo. E intanto vediamo passare piatti le cui foto sul menù non c'erano e che stuzzicano di più il nostro appetito.
Santo KFC, protettore di viaggiatori in lotta con un cibo che non sanno scegliere e gustare fino in fondo: un gelato da 5 yuan e andiamo a letto con qualcosa nello stomaco.

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