MOMA

MOMA

mercoledì 30 luglio 2008

30.7.08. h 11.00
Lijiang.

Il minibus che deve venirmi a prendere alle 8.40 davanti alla guesthouse non è il pullmino piccolo e raccolto che immaginavo ma uno scassone coreano di 45 posti, sporco e vecchio. Una macchina mi carica alla guesthouse, gira l'angolo, sale pochi metri e mi lascia sullo stradone che corre lungo le mura occidentali di Dali, dove altre persone, in prevalenza cinesi, stanno attendendo l'arrivo della corriera. Va bene lo stesso, l'importante è arrivare al più presto a Lijiang per non perdere una giornata intera, dal momento che domani alle due partirò per la Gola del Balzo della Tigre o, come dicono qui storpiando un po' le parole “Tiger Leaping Gorge”.
Sui cartelli alla guesthouse è riportato che ci sono due modi per arrivare a Lijiang, la strada vecchia che impiega 5-6 ore, che passa tutti i villaggi e la strada nuova, “Express Way”, che impiega “solo” 3 ore per arrivare a Lijiang. Meno male che la strada che percorriamo è la nuova, non oso immaginare il viaggio massacrante che si deve fare sulla vecchia, in quanto già questa è tutta buche e asfalto sconnesso, una curva dietro l'altra affrontate senza troppi riguardi per gli organi meccanici del vecchio bus e per chi procede in senso contrario. Il paesaggio comunque, a parte i primi tratti che costeggiano il Lago Erhui, piatti e anonimi, diventa affascinante non appena arriviamo all'estremità nord del lago e il bus si inerpica su per le colline e le montagne. La vegetazione è fitta e di un verde intenso come solo nei Paesi tropicali si può trovare, le montagne una continua distesa verde, interrotta a tratti dal qualche taglio dovuto alle frane o da veri e propri squarci causati da qualche cava poco riguardosa nei confronti della Natura.

Accanto a me è seduto un bambino cinese di pochi mesi, 8- 10 al massimo, grasso che più grasso non si può, pacioccone e sorridente, con il triplo e quadruplo mento e le guance come due palloncini. E' l'orgoglio della famiglia, viene agitato davanti a tutti e lui ride, non riesco a spiegarmi come possa essere così grasso con la famiglia esile e magra che si ritrova. Un futuro lottatore di “sumo” se fossimo in Giappone, qui non so, un Piccolo Buddha?

Il “minibus A/C, no- stop e no- smoking” che dei quattro requisiti tanto publicizzati a Dali ha solo l'ultimo, dopo un'ora e mezzo circa si ferma dopo un passo in un enorme piazzale ai piedi di una montagna, con al centro un capannone di circa 200 metri per 100, pieno di vetrine di oggetti in argento e giada, almeno un centinaio con non meno di due- trecento ragazze vestite in abiti tradizionali Naxi. Migliaia di braccialetti di giada tutti uguali e di un verde pallido che Frankie ci aveva insegnato essere di bassa qualità; nonostante ciò i prezzi sono quasi Europei con una media di 30 euro e più.

Dopo la strada si fa pianeggiante e diritta, una vasta distesa di terreni agricoli e di piccole imprese familiari di lavorazione delle pietre che sono estratte dalle cave intorno, case basse e piccole con i tetti grigi di pietra, qua e là delle villette più grandi, due piani bianchi con i terrazzi, circondate da alte mura, i ricchi della zona che possono permettersi Fuoristrada Giapponesi e qualche cellulare in più, dal momento che la Cina contemporanea garantisce a tutti non più una scodella di riso ma un telefonino, basta che non si rompa i coglioni con sciocchezze come libertà o libere elezioni.
Si incontrano anche le prima risaie che, ora che ci penso, non avevo ancora visto da nessuna parte, piccole e non paragonabili a quelle dell'immaginario collettivo dei film, su terrazze ricavate in colllina, le nuvole basse sui pinnacoli di roccia che si innalzano per centinaia di metri nel cielo. Niente di tutto questo ma vedere una risaia in Cina solo dopo 5 giorni è strano però, ora che ci penso, il cibo che ho mangiato fin'ora non aveva tanto riso negli ingredienti. Forse la cucina dello Yunnan è diversa.

Anche qui da queste parti si vedono, sui tetti delle costruzioni più grandi, delle bizzarre antenne che pensavo fosse una caratteristica kitch solo di Kunming: riproducono la forma della Torre Eiffel. E' nata prima la struttura che poi è stata usata per fare la Torre Eiffel oppure la Torre Eiffel ha creato una struttura nuova? Sta di fatto che sembra di vedere le riproduzioni pacchiane che si possono incontrare a Tokyo, con la Statua della Libertà in scala ridotta nella baia del fiume o i canali di Venezia a Las Vegas.

Arriviamo finalmente a Lijiang, sono le 13 passate, altro che tre ore.
Lijiang, che pensavo fosso un gioiellino raccolto e piccolo, è una città più grande di Bergamo con una zona moderna e tutto sommato anonima esterna a est, con enormi grandi magazzini e hotel luccicanti, e Old Lijiang, un intrico di stradine vecchie lastricate, ancora più piccole e contorte di quelle di Dali.

La stazione dei pulmann è qualche chilometro a sud di Lijiang vecchia. dove ho prenotato la camera per dormire.
Fermo il primo taxi, niente! Il secondo, niente, tutti si riufiutano di portarmi a Lijiang vecchia. Chiedo a una ragazza cinese, che è scesa con me dall'autobus e che anche lei, dopo di me, ottiene lo stesso rifiuto, cosa succede e, in un Inglese molto elementare mi dice che il tragitto è troppo corto. Hai capito? Come cazzo fare? Già sto pensando di chiamare da un telefono che vedo dall'altra parte della strada quando si avvicina un uomo di circa 45 anni, ma potrebbe anche avere la mia età, con un bicicletta a tre ruote con un pianale dietro. Gli mostro la piantina scritta in caratteri cinesi che tutti gli hotel inviano per e-mail affinché i tassisti possano portarti nel posto giusto senza guardare un indirizzo per 2 minuti con la faccia inebetita e mi fa cenno con la mano destra di salire sul pianale dietro. Chiede 20 yuan (2 euro), una follia! Contratto e alla fine, per la metà della cifra richiesta monto con zaini e borsone accucciandomi alle sue spalle. Ma mano che acquista velocità una folata di sudore mista a sporco mi investe, non mi resta che infilare il naso nella maglietta.
Inizia una strada in salita, vedo che si alza sui pedali mentre la bicicletta si ferma, scendiamo tutti e due e continuiamo a piedi.
Arriviamo all'ingresso di Lijiang Vecchia e devo continuare a piedi perchè le biciclette non posso entrare.
Il Sanhe Hotel si trova in una delle stradine pavimentate, straboccanti di negozi turistici che vendono la solita paccottiglia di oggetti in giada e legno. Il posto è molto carino, ci sono tre coorti interne con un giardino circondato dalle camere, tutto in legno. Il prezzo è più elevato rispetto a Dali (350 yuan) ma in generale tutto qui costa di più.
In sé Lijiang, dal 1997 Città Patrimonio Mondiale della Cultura, sarebbe anche carina (nonostante le cartine in vendita nei vari negozi la reclamizzino come “la città più romantica del mondo”), le stradine tortuose e strette, le case basse tutte di legno, piena di corsi d'acqua e ponticelli in pietra. Peccato che i negozi tutti uguali, ognuno la fotocopia dell'altro, la retrocedano a una trappola per turisti, che qui non mancano di certo, orde di cinesi con videocamera e ombrellini parasole e i soliti pochissimi occidentali.

A nord della città vecchia c'è la parte più bella di Lijiang, il Parco dello Stagno del Drago Nero detto anche Parco della Sorgente di Giada per via delle sue acque verdi e cristalline (più o meno). Percorrendo una stradina che costeggia un corso d'acqua, il Lungofiume di Giada, fiancheggiato da alberi piegati su loro stessi i cui rami arrivano a toccare l'acqua, si arriva all'ingresso sud dove c'è la biglietteria, 80 yuan per entrare (in generale l'ingresso alle attrazioni principali dello Yunnan è caro rispetto al costo della vita qui, il tempio Chongsheng a Dali, per esempio, è costato 120-140 yuan, ma se serve a mantenerli così bene come ho visto fin'ora sono soldi spesi bene e che dai volentieri).
I nomi dei complessi all'interno sono sempre molto fantasiosi, è questa una caratteristica e bellezza tutta cinese, riuscire a trovare un nome poetico a qualunque cosa: il Padiglione da 1 Cent, al centro del lago dall'acqua effettivamente pulita e limpida, dove si rispecchiano le montagne a nord di Lijiang, deve il suo nome al fatto che è stato costruito con le donazioni di una donna religiosa che aveva raccolto dei soldi per un lungo periodo, 1 centesimo alla volta; il Padiglione che abbraccia la Luna; la Sala delle Cinque Fenici.



Le strade a sud dell'albergo, diventano via via sempre più strette, sembra quasi di essere in un souk arabo o in una medina del Marocco, se non fosse per i suoni completamente diversi ma ugualmente stimolanti e per gli odori, speziati entrambi ma con un vago sentore dolciastro qui.

Tutte le strade (beh, quasi tutte) di Lijiang vecchia, chiamata anche Dayan che è il “borgo” più importante, o Gucheng (“Vecchia Città”) dai locali, portano alla Piazza del Mercato (Sirfung Jieh), una piazza piccolina ai piedi della Collina del Leaone, meravigliosamente circondata dalle casette in legno se non fosse per il mare, anzi oceano di turisti.

Ogni Nazione ha la sua Venezia. Noi abbiamo la città forse più bella al mondo, un museo in ogni sua strada e palazzo, poi c'è Amsterdam in Olanda, Nara in Giappone, Hoi An in Vietnam, il “Venice” a Las Vegas (perchè gli Americani non potevano esserne senza): in Cina c'è Lijiang. E' tutta attraversata di ruscelli, piccole cascate, ponti in pietra, piazzette che si aprono dopo stradine tortuose, le più defilate deserte e magiche. Poi arrivi nella Piazza del Mercato e ti sembra veramente di essere a Venezia, una piazzetta meravigliosa colma di turisti con macchine fotografiche, in posa sul ponte, le dita alzate in segno di vittoria.
Pian piano mi sto ricredendo sull'impatto iniziale di Lijiang, o meglio bisogna guardarla con un filtro che annulla la presenza dei negozi e dei turisti: se riesci a comprenderne la bellezza ti colpisce dentro.

Alle spalle della piazza c'è la Collina del Leone, chiamata così perché da lontano sembrerebbe un leone. Una scalinata nemmeno troppo lunga ma che taglia il fiato porta alla torre Wangulou, una struttura di 33 metri in legno dalla cui sommità c'è una vista meravigliosa di Lijiang Vecchia a est, ormai all'ombra delle montagne con il sole che sta tramontando, a ovest Lijiang nuova con i suoi tre o quattro grattacieli. Sullo sfondo le Montagne della Neve del Drago di Giada sono coperte dalla foschia e dalle nuvole. Uno sguardo su Lijiang Vecchia, con i suoi tetti grigi compatti, tutti ravvicinati tanto che sembra che non possa cadere uno spillo per terra, ricorda la stessa struttura di Kaesong in Corea del Nord vista dalla collina con la grande statua di Kim Il Sung, solo che qui si respira un'aria di festa e non la tragedia dell'ultimo, anzi l'unico Paese comunista rimasto.
Anche qui l'ingresso è di 80 yuan più altri 15 yuan che mi chiedono facendomi vedere un altro biglietto e che non so cosa a cosa si riferisca.

Questa sera non resisto e cedo a una tentazione malsana. Esco dall'albergo dopo aver scritto il diario da caricare sul blog più tardi (la mia stanza è l'unica in cui il cavo di rete non funziona!!), faccio un giro per le stradine e veramente sembra di essere a Venezia, ci suono i buttadentro davanti ai ristoranti, la maggior parte con orchestrina che suona musica Naxi e delle ragazze che, vestite in abiti tradizionali, pateticamente ballano. Decido di uscire dalla Lijiang Vecchia, del resto si tratta di girare l'angolo e passare un ponte in pietra, dove c'è l'ingresso alla parte storica, così brutto e pacchiano che peggio non potevano fare. Un bassorilievo alto qualche decina di metri e lungo una cinquantina, nuovo di pacca, color ruggine; sotto due ruote tipo “Mulino Bianco” con un ponte ricostruito dove farsi immortalare da una schiera di fotografi con macchine digitali e tagliandi “Ready in 5 minutes!” da distribuire ai malcapitati.
Faccio poche centinaia di metri e, ai piedi di un grande magazzino vedo Lui, il diavolo che mi tenta e so già che questa notte me ne pentirò.
Il KFC: Kentucky Fried Chicken. Mi ha colpito ai tempi delle vacanze studio in Inghilterra, ricordo ancora, era agosto del 1990, Londra. Da allora mi ha affondato e, ogni volta che vado all'estero almeno una volta cedo alla tentazione. Perchè non ci sono in Italia?
Mi piace l'odore di fritto appena entri e che ti porti sotto le coperte, mi piaciono le dita unte mentre mangi le cosce di pollo fritte “nell'olio con ricetta speciale del Kentucky), un po' meno gradisco il peso sullo stomaco e il riproporsi del sapore il giorno dopo.

Una birra da Lamu, ristorante e bar tibetano di fronte all'hotel, che ha la connessione WiFi, giusto in tempo per aggiornare Internet e per scambiare dei messaggi su Skype con Ale (non si può usare per evitare che tutti parlino ad alta voce: ma non siamo in Cina?), poi il computer si spegne perchè la batteria è scarica.

Un altro tentativo di collegarmi in camera, non capiscono che non si tratta del cavo di rete (me ne portano 4 in 10 minuti), poi a nanna. Domani mi viene a prendere Sean, il titolare di una guesthouse in mezzo alla Gole del Balzo della Tigre per un trekking di 3 giorni nella gola.

PS: in Cina non esistono gli scopettoni del water. La prima sera pensavo non lo avessero messo in hotel a Kunming, ma è il sesto giorno che non li trovo. E' un bel problema!

martedì 29 luglio 2008

29.7.08. h 13.00
Dali.

Questa notte un acquazzone incredibile, fortunatamente finora (sgrat sgrat) inizia piovere solo la sera tardi, di giorno nuvole nere e ogni tanto qualche tuono ma niente di più.

Mi alzo con la bocca impastata di aglio per colpa del pane al burro di aglio di ieri sera, mi lavo tre volte i denti e scendo per colazione.
Cosa fare?
I posti da vedere sono tanti, i monti alle spalle di Dali pieni di templi o il lago. Potrei prendere una bicicletta in affitto alla guesthouse ma non ho voglia di faticare.

Esco e mi incammino lungo Bo Ai Lu verso sud, poco dopo la guesthouse c'è la Moschea di Dali, un complesso tipicamente cinese ai cui angoli spiccano due cupole azzurrine e al centro un minareto basso con una mezzaluna. Entro e mi avvicino nella corte centrale, dove sento una cantilena di più voci. In una piccola stanza stanno facendo lezione di arabo, un ragazzo giovane con il copricapo tipico e una lunga bacchetta di legno sta indicando su una lavagna nera dei caratteri arabi mentre la scolaresca ripete. La scolaresca è composta da anziani, uomini e donne mischiati tra loro, non la rigida separazione che ci si aspetterebbe in un paese musulmano. Nell'aula accanto un gruppo si bambini sta ripetendo in coro delle frasi di cui riconosco solo la parola “bismillah”.
Niente in questa corte fa pensare che sono in un posto musulmano, ovunque scritte in cinese e la tipica architettura cinese, con tanto di sala di preghiera di fronte alle aule chiusa da una porta tutta intagliata.

Attraversando la strada c'è una via nuovissima, moderna, non più lunga di una cinquantina di metri. Honlongjing Lu, una serie di costruzioni in legno a due piani, al piano terra il negozio con una grande vetrata, al piano di sopra tutti dei balconi in vetro, dei lampioncini tutti uguali abbelliranno la strada una volta aperta. I negozi sono in vendita o in affitto, come si vede dai cartelli con il numero di telefono.
La porta meridionale è sicuramente la più bella, maestosa, anche perchè è il punto di accesso principale alla Città Vecchia di Dali. Da qui inizia il percorso lungo le mura, tutte un saliscendi per seguire la conformazione del territorio.

Uscendo dalla porta meridionale e prendendo la prima strada a destra, dopo aver attraversato la strada principale che costeggia Dali e salendo un piccolo sentiero si arriva al Tempio Hongshen, in cui c'è una Pagoda del tutto simile a quella più grande del Tempio Chongsheng, in muratura giallina.
Una sbarra di legno e un cartello annunciano che la zona del Tempio non è accessibile perchè non è stata ancora recuperata dall'incuria e dal passare del tempo. Scatto qualche fotografia e vedo comparire un cagnolino bianco e nero che rincorre dei polli, seguito da una signora. Con gesto inequivocabile, i due indici incrociati che significano 10, mi fa cenno che se voglio entrare devo pagarle 10 yuan. Non ci penso 2 volte, le do la banconota e alza la sbarra. Mi accompagna nella visita il cane che vuole giocare, corre avanti e poi torna indietro verso di me.
A un certo punto la strada sterrata si interrompe e inizia una fitta vegetazione che copre tutto, mi giro e la signora da lontano mi fa cenno di proseguire.
Dove? Non si vede nulla! Prendo un bastone, lo picchio per terra per paura di serpenti e mi addentro tenendo sempre di vista la torre. Il cane mi segue sempre, va avanti lui come se sapesse la strada e mi facesse da guida. A un certo punto raggiungo la base della torre, mi arrampico fino alla seconda balza dove c'è una porta che conduce all'interno. Il cane ha fatto il suo lavoro, si sdraia accanto allo zaino con le macchine fotografiche che ho lasciato giù sotto e mi guarda mentre cammino. La porta dà all'interno della torre, buia da non vedere oltre un paio di metri. C'è qualche ragnatela qui e lì, pian piano gli occhi si abituano al buio e vedo delle scritte sui muri. Entro al centro della stanza mentre mi si stringe il culo al pensiero delle bestie più paurose che io conosca, serpenti, ragni, scorpioni, pipistrelli, mancano solo gli squali. Meno male che non ci sono scale per salire, la struttura è chiusa lungo tutta la circonferenza, altrimenti sarei stato costretto a salire.
Torno indietro dalla mia “guida” che mi scondinzola e insieme torniamo alla casa della signora, custode o cosa sia non so. Chiedo se posso entrare a vedere la casa, mi accoglie in un giardino centrale rettangolare di 20x20 metri all'incirca, un arco di pietra al centro fatto da due pilastri verticali e uno orizzontale in cima, simile agli archi all'ingresso dei templi giapponesi. La casa, il solo piano terra rialzato per evitare che entri acqua quando piove, è tutta in legno, buia all'interno con le finestre che danno sul giardino. Mi avvicino alle finestre e vedo delle stanze piccolissime con letti a castello e zanzariere, un materasso che sembra quello per fare ginnastica. All'esterno, sulla balaustra, un catino in ottone con una brocca funge da lavandino: non oso pensare dove sia il cesso.

Saluto e torno in città.
Lungo le mura della porta meridionale c'è un mercato con qualche negozio di antiquariato e i banchi che vendono oggetti di giada, libretti rossi di Mao con la copertina in plastica (mi chiedo se anche l'originale fosse con la copertina in plastica) e monete più o meno antiche.
Contratto per una macchina fotografica tipo Rollei, con tutte le scritte in cinese. Non è funzionante, o meglio, non funzionano i tempi di esposizioen sono tutti uguali nonostante la leva si mobile. Intorno è tutta scrostata, la similpelle si stacca.

“How much?”
Con la calcolatrice in mano mi indica 1.200 yuan.
“120 euro??!!”
La ragazza con cui contratto fa cenno al ragazzo di passarmi la calcolatrice per fare l'offerta.
Scrivo 80 yuan, gliela passo e si mettono a ridere.
Tiro fuori il frasario in cinese e dico
“huai lǝ”, rotto.
Si guardano e mi fanno un'altra offerta, 800 yuan.
Rialzo a 100 e iniziano a parlarsi e a parlarmi in cinese.
“Zai giien”, arrivederci.
Esco e mi richiamano urlando, scendendo a 500 yuan. Inizia un tira e molla in cui esco ed entro nel negozio più volte, ogni volta facendo qualche passo in più per vedere se bluffo oppure non offro di più dei 100 yuan, finché la incartano nel giornale e me la consegnano.
Cosa mi serve una macchina fotografica cinese rotta? A niente.

Risalendo Fuxing Lu dalla porta meridionale, dopo qualche centinaio di metri di negozi e botteghe di oggetti in argento, giada e semi di anguria, qualche libreria di soli libri cinesi, si arriva al Palazzo Wuha, un edificio a tre piani simile a una delle porte di ingresso ma in cima a un basamento di pietra. Tutto intorno una serie di giardini con fiumiciattoli e laghetti, con dei padoglioni sopraelevati dove i cinesei si riposano, mangiano gelati o, semplicemente, parlano tra loro. Una cosa che qui a Dali non manca è l'acqua, ovunque ci sono corsi di acqua, incredibilmente dal colore pulito, che poi sia pulita come lo intendiamo noi è un altro discorso, ma un colore trasparente e non giallo fango è già qualcosa da queste parti.

Poco prima del Palazzo Wuhua c'è il Monumento all'Eroe del Popolo, una piazza ampia e vuota circondata da slogan di propaganda (almeno così penso) che stona a Dali, tutta stradine strette, lastricate e affollata di botteghe, ma soprattutto vuota.
Entro, salgo i gradini dove è issato il pennone con la bandiera cinese e scatto una fotografia. Sento urlare e capisco subito che non si può fotografare il monumento. Un militare corre verso di me, io incredibilmente calmo (tutto l'opposto di quando fermarono me e Michele a Phnom Penh perchè fotografai l'ambasciata americana circondata da filo spinato e ostacoli con tanto di chiodi per terra) gli faccio vedere sullo schermo che la sto cancellando. Mentre mi abbaia in faccia non so perché ma mi viene da ridere. Ormai Cinesizzato, cerco la parola “cancellato” sul frasario ma c'è solo “cancellare”, gliela faccio leggere e noto che sorride. Mi fa cenno verso la base della statua, ci sono due pannelli di bronzo che dal punto in cui siamo mostrano la scritta “NO PHOTO”. Li avevo notati mentre facevo la foto ma, con il sole perfettamente alle spalle, sembravano due specchi e non si vedeva nulla. Ostinato, gli chiedo di venire dove ero prima per fargli vedere che c'è il riflesso del sole, magari avrei anche iniziato una polemica riguardo la necessità di sostituire quelle lastre di bronzo lucide con lastre di pietra. Fortunatamente il militare non si muove, si gira e se ne va.

Nella parte bassa di Bo Hai Lu c'è un murales lungo una trentina di metri che serve a spiegare ai bambini e alla cittadinanza cosa fare in caso di incendio. Deve essere tipico di questi paesi (come ne ho visti in Vietnam, in Corea del Nord, in Birmani) spiegare alla popolazione pitturando sui muri l'argomento che interessa. O almeno così era fino a qualche anno fa in Cina, dove le televisioni non erano così diffuse e non c'era la “ricchezza” di adesso, in quanto i diversi punti i disegni sono scoloriti e rovinati. C'è la mamma che chiama il 119, il numero dei vigili del fuoco, cosa non fare per non causare incendi, scoppiare mortaretti dalla finestra di casa, aggiustare il televisore con la spina attaccata, bagnare le prese della corrente e cosa fare in caso di incendio, abbassare la presa della corrente, bagnare ciò che sta bruciando e, in casi estremi, affacciarsi alla finestra e chiedere aiuto.

Entro in una lavanderia e lascio la felpa Lonsdale che ho portato perchè non si sa mai, mentre la uso tutti i giorni, tranne nelle ore centrali della giornata
Chiedo il servizio “super- express”, quello che in 4 ore ti ridanno tutto lavato e asciugato, la ragazza quasi imbarazzata mi dice che in questo caso devo pagare il doppio, 10 yuan (poco meno di 1 euro) invece che 5 yuan: quasi quasi ci penso...

Torno in hotel a lasciare la macchina fotografica e a bere qualcosa al bar e inizia il diluvio, che per fortuna durerà solo 1 oretta, dopodichè uscirà un bel sole che rende tiepida la giornata, quasi primaverile.
Appena smette di piovere esco subito per strada, non riesco a non godere Dali in ogni sua piccola stradina, non mi stanco mai di girare per le stesse strade, a vedere gli stessi posti.
Accanto alla guesthouse cìè un negozio che vende abbigliamento da montagna, cerco una giacca a vento leggera, impermeabile in quanto il Kee-way che ho portato è di almeno due misure più piccole e ha un effetto sauna dopo pochi passi. Il marchio prestigioso è North Face, qualunque tipo di giacca a non più di 380 yuan, troppi per l'uso che ne farò, sicuramente solo qui in Cina. Trovo una sottomarca cinese “Mountain”, nella cui etichetta c'è scritto che è in Gore-tex, costo 150 yuan. Sembra quasi carina, aderente e non sformata e di qualche taglia più grande come tutti gli abiti cinesi. Vedremo la prima volta in caso di bisogno se si scioglierà come neve al sole.

Un salto alla Bank of China a cambiare dei soldi e capisco tutti i guai della burocrazia cinese. All'ingresso c'è un poliziotto, un impiegato di dirige allo sportello, un altro ti dà la penna per compilare 4 fogli prima di cambiare. Il cambio è lo stesso applicato a Shanghai, 1 euro vale 10,45 yuan più o meno, senza commissioni.



La scelta è dura: mangiare tibetano al ristorante della guesthouse o godermi l'ultima sera a Dali? Mangerò tibetano a Zhongdian, quindi esco di nuovo e cerco un bar diverso dove cenare. Purtroppo la scelta non è perfettamente azzeccata, ogni bar/ ristorante di Dali ha il doppio menu con piatti sia cinesi e tradizionali di Dali e Tibetani sia occidentali. La tentazione di mangiare un bel cheeseburger con le patatine fritte è grande ma non cedo e ordino dei noodle fritti con il manzo e delle fettine di manzo fritte secondo la ricetta tibetana. I noodle sono molto buoni, le fettine di manzo sono presentate con una marea di cipolle e peperoni: buoni questi ultimi, con un retrogusto di vomito il manzo. Mangio cipolle e peperoni, lascio una montagnetta di manzo in un angolo del piatto.

Mi diverto a guardare la gente che passa, per la prima volta vedo una persona di colore, non se ne vedono, né qui né negli altri paesi asiatici che ho visitato. E non parlo di turisti (che comunque ne ho sempre visti pochissimi), ma di neri che vivono in Cina. Ora non voglio dire che questa ragazza vivesse qui, anche se spingeva la carrozzella di un bimbo cinese (sarà la tata di qualche mega- riccone sino- americano), semplicemente mi ha fatto uno strano effetto vedere un nero in Asia. Divagando: come mai non si vedono neri e asiatici con la sindrome di Down? Me lo sono sempre chiesto, una risposta penso di averla, ma ho paura che sia troppo brutta per essere vera.
Passa anche un culattone, un uomo di circa 45-50 anni, capelli nero corvino lisci e lunghi sulle spalle, un incedere sculettando, borsa argento sulla spalla sinistra, camiciola e pantaloni lunghi neri stretti e tirati su bene nelle chiappe, orribili scarpe da donna marrone con un tacco di 4-5 centimetri e un ombrellino rosa. Una checca mostruosa! Anche questa è la Cina che cambia.


Anche questa sera sono l'attrazione della serata, e dire che non ho con me il computer ma il libro di Bettinelli “La Cina in Vespa”. Tutti i cinesi che passano mi guardano, una mi fa una fotografia e mi ringrazia, un altro lo vedo scattare da lontano, una ragazza ben nutrita e un po' brufolosa addirittura mi chiede se si può sedere accanto a me mentre la mamma ci fa una fotografia. A questo punto chiedo di fare una fotografia anche con la mia macchina, oltre che per il ricordo anche perchè, una volta allontanatesi, riguardo la fotografia zoomando sulla mia faccia per vedere se ho qualche sbaffo di dentifricio, mi guardo le scarpe per vedere se sono uscito a piedi nudi. O forse, semplicemente, non è normale per un Cinese mangiare soli, cosa che invece trovo bellissima, non c'è modo migliore per pensare, trovare soluzioni o semplicemente fantasticare che mangiare soli, forse perchè non sono capace di sdraiarmi sul divano e chiudere semplicemente gli occhi, ho bisogno di attività.

lunedì 28 luglio 2008

28.7.08. h 21.40
Dali.

Anche in piena notte non posso che reputarmi soddisfatto di Kunming, o forse sarà il fatto che tutte le città di notte assumono un aspetto affascinante e misterioso, che sia Kunming, Yerevan, Phnom Penh o New York.
Il minivan dell'hotel mi attende fuori dalla hall mentre io pago il conto che è più alto di quanto pensassi: ai 936 yuan (poco meno di 90 euro) spesi per due notti in un hotel 4 stelle (!!) si aggiungono circa 7 euro non meglio precisati. Chiedo spiegazioni e una ragazza dallo sguardo assonnato ma che, fortunatamente, capisce bene l'inglese anche se lo parla a spizzichi e bocconi mi spiega che è il collegamento Internet. Ma non era gratis? Non ho voglia di polemiche, per 7 euro, forse non ho letto bene io, sicuramente loro non hanno fatto né scritto nulla per avvisarmi che era a pagamento. Anzi, ovunque in camera, c'erano avvisi e spiegazioni su come effettuare il collegamento alla rete dell'hotel. E pensare che, in questa brevissima notte, ho lasciato connesso il portatile dopo la telefonata con Skype in attesa di dare la buona notte ad Ale e ai cagnolini e per ricevere il buon giorno da 7.000 e passa chilometri di distanza. A proposito di Skype, queste sono le invenzioni che, alla pari di Internet, hanno rivoluzionato la vita dell'uomo negli ultimi 10-15 anni. Pensare di vedere in faccia una persona mentre le parli (GRAAAAATISSSSSSSSSSSSSSSSSSSS!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!) è qualcosa di stupefacente e ti fa sentire meno solo, come se chi ti sta parlando sia nella stanza accanto.
Insomma, pago e cerco di rubare una “breakfast bag”, così chiamano la colazione messa in un sacchetto di plastica da fruttivendolo per chi parte presto la mattina e non può usufruire della colazione a ristorante. Mi fermano chiedendomi se l'ho prenotata, cerco di bluffare ma tirano fuori un foglio dove, in un mare di caratteri cinesi come scarabocchi leggo dei numeri che sono quelli delle camere. Capisco che non c'è via d'uscita per scucire una colazione, dico “Don't worry, it's late” e salgo sul minivan.

Dicevo, Kunimng di notte. Tutti i palazzi sono spenti, anche quelli del quartiere finanziario che splendevano fino a poche ore fa sono ormai spenti, solo la luce rossa a intermittenza sul tetto li rende visibili. Le strade sono vuote, o meglio sembrano vuote perchè ci sono in giro diversi motorini rigorosamente con i fari spenti, talvolta con un solo passeggero, spesso con marito e moglie o uomo e donna. Qualche carretto a motore trasporta la mercanzia verso il centro, a rifornire le innumerevoli botteghe. Ogni incrocio di grandi dimensioni della città ha un gazebo di plastica che risplende di una luce lampeggiante rossa, è il posto di controllo della polizia. Su tre posti di polizia che incontriamo nella strada lungo l'aereoporto, non c'è un solo poliziotto che sia sveglio: uno dorme con la testa appoggiata sul tavolo, due sulla sedia con la testa piegata in maniera innaturale di lato, come se fossero stati giustiziati. Il tutto con il faro lampeggiante rosso che ciclicamente e in maniera ipnotica illumina a giorno l'interno del gazebo.
Le uniche luci accese sono quelle di un gigantesco McDonald's, aperto 24/24 e 7/7 come riporta la scritta in Inglese/ Cinese, e i rivestimenti di fiori gialli su tutti i lampioni della strada che conferisce un aspetto di vitalità alla strada, come se la serata fosse appena finita.
La strada che conduce all'aereoporto presenta i palazzi dall'architettura migliore, regolari e puliti, forse un po' monotoni nel loro essere tutti uguali ma comunque moderni senza essere pacchiani. Caso a parte è un edificio che non capisco se sia un hotel, la sede di uffici o altro che sintetizza nel suo aspetto kitch un castello inglese e il Dakota Apartments, con le sue torrette arzigogolate sui quattro angoli dell'edificio, peccato per un drago gigantesco azzurrino appeso alla facciata. Subito dopo un maestoso edificio tutto spento, simile ad uno scheletro perché le finestre nere e buie contrastano con il lucido della struttura portante in acciaio e cemento, potrebbe essere una scuola, un edificio pubblico o un ospedale.
Nemmeno 10 minuti e arrivo in aereoporto e meno male che non sono nemmeno le 5.30: una ressa incredibile agli ingressi, a causa dei controlli dopo gli attentati della settimana scorsa, crea una coda solo per entrare nel terminal.
Tra gli scaffali di una libreria piazzata proprio in mezzo all'area dei check- in, trovo un libro che è un controsenso per i principi su cui dovrebbe essere fondata la Cina o, quantomeno, farebbe rivoltare sotto la campana di vetro anche la mummia imbalsamata dello zio Mao: LUXURY GOODS. Dentro una parata di fotografie di beni extra- lusso, Ferrari, Zagato, Yacht alla Abramovich, orologi che valgono quanto una casa. Il mercato del lusso è in continua espansione, è il solo mercato su cui le aziende di tutto il mondo si scannano pur di investire. Non è un caso il fatto che la Ferrari abbia incrementato notevolmente il fatturato da quando si è aperto il mercato del lusso, che ci sia il Gran Premio di Formula 1 a Shanghai, uno sport che non è certo per poveracci.

Ci lamentiamo dell'incapacità di fare una coda in Italia? Bisognerebbe provare a farla in Cina. Check-in del volo Lucky Air 8L9901, non è ancora aperto e una donna sta dormendo sul nastro trasportatore dei bagagli. Ordinatamente mi metto in coda dietro di lei, mi siedo per terra con i bagagli leggendo “La Cina in Vespa” di Giorgio Bettinelli. Via via si forma la coda dietro di me ma mi accorgo che non è una coda tranquilla, in calma attesa, noto un certo nervosismo delle persone, camminano verso il banco, tornano indietro, si sporgono di lato per vedere se arriva qualcuno. Appena si presenta la ragazza del check- in la coda pseudo- ordinata si sciogli come se qualcuno avesse ordinato “Rompete le righe” e si crea un cono umano la cui punta è davanti il banco e man mano si allarga per via delle persone che si accalcano ai lati. Mi trovo spiazzato ma penso che anche se ho gli occhi occidentali e ho quattro peli in più di loro non voglio aspettare più di quanto mi spetti: poso il mio borsone sul rullo, cosa che nessuno ha ancora fatto, e metto salendo sul nastro metto il passaporto sotto la faccia dell'impiegata.
Mi perdo nel bar dell'aereoporto a bere un latte caldo con cioccolata (il bugiardino del Malarone consiglia di prenderlo con il latte o a stomaco pieno, ma non ho voglia di noodle o zuppe di verdure e maiale alle 6 del mattino). Mi perdo a scrivere al computer, alzo lo sguardo verso il monitor e vedo che sono le 6.40, guardo il biglietto con scritto BOARDING TIME 6.50 e riguardo l'ora sul cellulare: tra 10 minuti iniziano a imbarcare. In fretta e furia mi presento al controllo sicurezza e si presenta una scena dantesca: centinaia di persone si affollano davanti ai 6 sportelli, c'è chi aspetta in coda e avanza lentamente, chi furtivo guardandosi intorno cammina in avanti guadagnando posizioni, chi agitando il biglietto passa davanti a tutti. Attendo 10 minuti in Occidentali buone maniere, quando mi accorgo che davanti la ressa aumenta e ormai sono le 7, faccio gli occhi a mandorla e passo anche io davanti a tutti. Corro al gate 15 dove delle signorine, vedendo uno straniero correre, si sbracciano per chiamarmi.
Il volo dura nemmeno 40 minuti. Sono stato combattuto sul fatto di prendere l'aereo o percorrere la strada da Kunming a Dali per vedere il panorama: ma tra 40 minuti in aereo a 60 euro o 6 ore di autobus a 10 euro cosa avreste scelto?

Per cosa si può essere felici e sentirsi realizzati?
Può essere il lavoro gratificante, tornare a casa con qualcuno che ti aspetta con un sorriso. Può essere anche un incontro strano e casuale che ti riempie di gioia, inutile senza riscontri pratici ma pura felicità.
Esco dal terminal dell'aereoporto di Dali, un capannone con un unico rullo per i bagagli, e leggo su un cartello tenuto da un signore LOMBARDO. Penso “che bello sono venuti a prendermi anche se non era previsto”. Mi presento, ci salutiamo e il Cinese mi chiede dove è mia moglie. Rispondo che sono solo, penso che magari al Jim's Tibetan Guesthouse stanno aspettando un'altra persona. Leggo poi meglio, LOMBARDO EDUARDO... e qui mi si illuminano gli occhi. Vedo uscire gli ultimi Occidentali, una coppia di una cinquantina di anni.
Chiedo
“Are you Mr. Lombardo?”
“Yes”
“My name is Max Lombardo too”
e lui e la moglie scoppiano a ridere.
Facciamo una foto insieme e ci scambiamo verbalmente i nomi degli hotel a Dali, anche se il suo lo dimentico subito.
Capito? Non sono arrivato in Sicilia, dove Lombardo è come Rota a Bergamo, ma a Dali, nel cuore dello Yunnan!
Questa è la vera felicità, che mi lascia elettrizzato per un bel pò.

Un trequarti d'ora di taxi (90 yuan) lungo una strada bellissima che costeggia il Lago Er Hui (Er significa “orecchio” ed è dovuto alla forma allungata a mò di orecchio del lago), un lungo lago con tanto di porticcioli per le barche, e arriviamo nella città vecchia di Dali, entrando per la porta meridionale.

La Jim's Tibetan Guesthouse è all'interno delle mura vecchie. Una pensione piccolina e pulita sulla strada principale. Al piano terra la reception è il bar. Salgo una scala stretta ed entro in camera, piccola, pulita con un letto matrimoniale, mobili in legno intarsiati e un bagno lindo. Le tende spesse lasciano entrare una luce gialla che crea un'atmosfera ovattata.
Sono in pace con il mondo.
Non disfo nemmeno il borsone, il tempo di organizzare lo zaino delle macchine fotografiche ed esco per strada. La città di Dali è costituita da due parti, la città vecchia, a pianta perfettamente quadrata, racchiusa da mura con una porta per ciascun lato e le strade ortogonali. Fuxing Lu è la direttrice principale nord- sud della zona vecchia, unendo la porta meridionale con la settentrionale: è una bella strada che penso sia isola pedonale ma qualche motorino e macchina ci scappa lo stesso, con i salici piangenti ai lati e un canale che dovrebbe essere di scarico ma a vedere dall'acqua penso sia rimasto ormai per bellezza e per far attingere ai proprietari delle botteghe che si affacciano sulla strada, quando devono pulire il negozio. Le case sono basse, due piani di legno spesso scuro, con il negozio/ bottega al piano terra e l'abitazione al primo piano, piccole finestre, di solito 2 o 3 con vetri colorati. Tra il negozio e la casa, una scritta in cinese su un tavolato di legno penso indichi il nome della bottega.
La perpendicolare a Fuxing Lu, esattamente alla sua metà, si chiama Huguo Lu o Foreigners' Street, il nome dice tutto: una fila di negozi di antiquariato più o meno finto, gioielli più o meno preziosi, CD e DVD più finti che originali, bar, ristorantini con le panche di legno all'aperto in questa strada stretta. Insomma, questa parte di Dali può far innamorare qualunque persona, ci si sente a casa e non ha nulla di turistico, riesce a mantenere una sua originalità, una sua autenticità, anche perché di Occidentali ne ho incontrati 4 in 1 ora.
La parallela a Huguo Lu è Yu'er Lu, una via un po' più grande e trafficata.

Pian piano mi incammino lungo Fuxing Lu finchè esco dalla porta settentrionale, su tre piani (ingresso 2 yuan) al cui primo piano c'è un'esposizione- vendita di un oggetto che, scoprirò, essere molto diffuso a Dali, dei quadri fatti con il marmo lavorato. Da lastre di marmo e/o pietra simile, riescono a ricavare veri e propri quadri, alcuni abbastanza definiti da sembrare dipinti, almeno a una prima occhiata. I temi più “richiesti”, o più semplicemente più facili da ricavare dalle venature della pietra, sono i paesaggi montagnosi e le vedute a “volo d'uccello”.
Appena usciti dalla porta settentrionale iniziano le botteghe meno turistiche e più locali: arrotini, fabbri, meccanici, vetrai, lavoratori del marmo (compresi i tombaroli, nel senso di quelli che creano le lapidi), parrucchieri, alimentari, negozi di stoffe. Caratteristica di queste botteghe è che, sul retro del hanno una porta che dà su un piccolo cortile, sporco e disordinato, dove si vede vagabondare qualche cane e, talvolta, polli.



Tanto è bella Dali all'interno delle sue mura quanto è ricca di storia e architettura all'esterno. Poco a nord della porta settentrionale c'è il complesso del tempio Chongsheng, meglio conosciuto come il Tempio delle Tre Pagode. Costruito sotto la Dinastia Tang nel Periodo Kaiyuan (713- 741 D.C.), è stato il centro politico e religioso oltre che tempio reale durante il Regno di Dali, conosciuta come la Capitale Buddhista. Solo le tre pagode all'ingresso sono originali del periodo in quanto ciò che la Natura non era riuscita a distruggere con i terremoti, ci ha pensato l'Uomo con le guerre a radere al suolo e il Grande Timoniere con la sua Rivoluzione Culturale, la sua non quella del popolo che ha lasciato sul campo qualche decina di milioni di vite tra Balzo in Avanti e cazzate varie. Nonostante sia tutto ricostruito, i templi e i vari complessi mantengono una delicatezza, nonostante la ridondanza dei particolari e i colori vivaci, e sembrano originali, se non fosse per il fatto che sono troppo nuovi, troppo puliti e con i colori sgargianti per aver passato centinaia di anni sotto le intemperie.

Appunto, le Tre Pagode. Un maestro di scuola elementare incontrato a colazione in un bar di Huguo Lu (che tra le altre cose è un patito di calcio, prima tifava “International of Milan”, adesso tifa Juve, abbiamo fatto bene a cambiare allenatore perchè con questo vinceremo la Coppa del Mondo in Sud Africa, con tanto di sgrattonata di palle, la Cina è scarsa, David Beckham è adorato da sua moglie ma capisce niente perchè non sa giocare, ecc.) le ha paragonate alla Torre di Pisa e non ha tutti i torti. La torre principale, alta oltre 60 metri è l'unica diritta, le altre due situate a nord e a sud pendono verso il centro in maniera simmetrica, come se fossero distorte da un obiettivo fotografico. A differenza delle pagode classiche di legno queste sono in mattoni e pietre rivestiti di calce.
Il complesso di templi e sale si estende lungo tutta la collina fino alle pendici della Catena del Cang Shan, coperta di nuvole. Man mano che si risale la collina le strutture diventano sempre più belle e ricche, fino alla Sala della Magnificenza in cima alla collina, con diverse statue di dimensioni enormi. In un angolo un monaco recita delle preghiere leggendo un libro tutto d'un fiato, battendo ritmicamente una campana di legno.

Ritorno in taxi alla guesthouse, una telefonata con Skype a casa e sono di nuovo fuori a cercare una crema per il solo: nonostante il cielo sia rimasto coperto tutto il giorno (si sta quasi bene con la felpa) ho la faccia viola e i capelli corti non aiutano di certo. Entro in un “grande magazzino” cinese, non capiscono sun cream, non capiscono i gesti e mi tocca leggere imbarazzato la guida Lonely Planet della lingua Cinese. Pronuncio in maniera orrenda tre parole, senza badare ai toni, fang- sciai iou e subito ottengo un set di creme Nivea, protezione 16 e doposole, a 5 euro (scadenza nel 2010).
Girovago lungo Renining Lu, la parallela a sud di Foreigners' Street, spingendomi fin quasi alla porta Orientale. L'aspetto cambia, ci sono negozi semplici, ristorantini creati davanti alle case e, nel tratto più orientale una serie di bar, loschi, bui e fumosi, ritrovo di hippies cinesi e occidentali. Qui vanno di moda gli happy hours, 6 vodka a 30 yuan (!), c'è un cinese del cazzo che fa andare i Diablo (ho sempre odiati chi usa i Diablo, tanto in Porta Nuova come qui a Dali), una coppia di squatters Spagnoli, lei una bella ragazza, lui un capellone biondo, stanno infilando delle collanine su un banchettino improvvisato, uno spagnolo tutto sporco sta parlano nella sua lingua madre con una Cinese di un bar che gli risponde in un Inglese impeccabile.

Incontro nuovamente la famiglia Lombardo.
Non sono Spagnoli ma Argentini di Santa Fè, Edoardo Lombardo, genitori di Genova ma, come gli faccio notare, Lombardo è un cognome siciliano, è un ingegnere chimico, Yolanda Bolzon, padre di Vicenza (Castelqualcosa) e madre di Milano, è una biochimica. Sono in Asia perchè Edoardo ha tenuto una conferenza a Seoul, dopodiché hanno iniziato un tour in Cina, Pechino, Xian, Guilin, Yunnan per tornare tra qualche giorno a Shanghai dove li aspettano 30 ore di voli per tornare a casa.
Coincidenza delle coincidenze hanno un figlio maschio nato nel 1973 e lui ha una macchina fotografica identica alla mia.
Ci scambiamo i rispettivi indirizzi e-mail e numero di telefono promettendo che, qualora verremo in Argentina gli devo quantomeno una visita per la felicità che mi hanno dato.

Finisco a mangiare e a bere birra mentre scrivo al computer allo “Star Cafe. Since 1987”, lungo Huguo Lu. Non male, una bistecca di manzo che si scioglie in bocca con le patatine fritte e insalata e pomodori che non tocco, crocchette di patate fritte con il sesamo e leggermente piccanti, due bottiglie di birra, in tutto 56 yuan.

Torno al Jim's Tibetan Guesthouse, lascio lo zainetto e scendo al bar della guesthouse che, oltre alla gentilezza dei ragazzi che ci lavorano e ai prezzi economici (1 birra poco più di 50 centesimi di euro), hanno una musica spettacolare. Questa mattina Bob Marley, ora i Beatles stanno suonando Penny Lane.
Mi viene ancora fame, quando sto bene e sono rilassato mangio, ordino pane con il burro e aglio (tanto non penso dormirò con qualcuna questa notte) e un'altra birra.
Intanto organizzo con i ragazzi della guesthouse lo spostamento a Lijiang per il 30 luglio, 60 yuan in minibus, rigorosamente con aria condizionata, no- smoking e no- stop come ci tengono a sottolineare.
Mi sta balenando per la mente un'idea, cambiare il programma, invece che andare in Sichuan, Chengdu, i Monti Emei e Leshan, cercando di passare per Yibin prima di arrivare a Chongqing, tornare a Dali e Kunming per far vedere ad Ale questi posti meravigliosi.
E' la prima volta che sto per cedere alla tentazione di tornare in un posto con tutti i posti del mondo che ci sono ma non ci sono parole per descriverli.

Sono diventato l'attrazione della serata di Huguo Lu, tutti si fermano a guardare questo occidentale con il computer piccolino con davanti piatti di cibo non terminati e due bottiglie di birra (per il momento) vuote, una ragazza cinese mi fa persino una fotografia.

Intanto ricevo una telefonata da un numero privato, non so perché ma rispondo e
sento.

“Gentile Cliente, con questa chiamata Vodafone chiede la Sua preziosa collaborazione per un sondaggio...”

Un Porco *** ad alta voce sono le prime e uniche due parole che mi vengono in mente.

La radio: qualunque cinese di almeno 50 anni, in qualunque posto si trovi, all'aperto al chiuso, nei templi o in un bar quando si siede per riposare dopo una camminata estrae dall'immancabile borsello una radio che accende, mette a tutto volume e appoggia sul tavolino. Fortunatamente non mi è ancora capitato di trovare due Cinesi nello stesso posto che ascoltano ciascuno una radio, ma sono sicuro che, entro la fine del viaggio, succederà.

domenica 27 luglio 2008

27.7.08. h 9.00
Shilin.

Finalmente un letto per come si deve, duro quanto basta per addormentarsi e risvegliarsi nella stessa posizione. Non sento nemmeno le telefonate dei massage che sicuramente saranno arrivate durante la notte.
La colazione al Kunming hotel è perfetta, qualunque cosa si voglia mangiare è esposta nel buffet, salsicce, patatine fritte, bacon, uova, zuppe cinesi, noodle fritti e in brodo, yogurt, frutta, insomma c'è da fare pranzo e cena.
Purtroppo i tempi si allungano, i tempi sono dilatati e non mi rendo conto che sono ormai le 8 e il treno per Shilin, la Foresta di Pietra, partirà tra nemmeno mezz'ora. Con una calma che non è la mia prendo un taxi che mi porta alla stazione meridionale dei treni. Sono assalito da una decina di procacciatori di viaggi che mi offrono passaggi per Shilin, Dali e Lijiang e che respingo seccato non sapendo che mi sarei pentito da lì a una decina di minuti.
La stazione meridionale di Kunming è sproporzionata per la città, un edificio mastodontico in vetro con un tetto sospeso a una cinquantina di metri di altezza, un enormo toro dorato nella piazza antistante ricorda il toro di Wall Street. Per accedere alle partenze si salgono delle scale mobili, si passa un controllo ai raggi X che serve solo ad allungare la coda di quelli che devono partire, in quanto nessuno tiene conto dei continui campanelli di allarme che suonano. Chiedo al banco informazioni, o qualcosa di simile, del treno per Shilin, una ragazza mi risponde che non ci sono treni. Vago per la sala di attesa, simile a quella degli aereoporti, finchè riscendo all'ufficio che vende i biglietti (perchè non ci sono andato subito? Credevo forse di salire sul treno senza biglietto?).
Gli sportelli sono decine, divisi per destinazioni, mi faccio aiutare a trovare quello che vende i biglietti per Shilin e compro un biglietto di sola andata per 70 RMN, cosa che mi rende perplesso perchè sulla guida c'è scritto che un biglietto a/r sarebbe dovuto costare 30 yuan. Solo dopo averlo comprato mi accorgo che la partenza è per le 11.50 e che il treno arriverà alle 13.30. Chiedo spiegazioni alla biglietteria, è l'unico treno in partenza nella mattinata e per il ritorno dovrò chiedere alla stazione di Shilin, non sanno se ci sono altri treni di ritorno. Che fare?
Con calma, quasi anestetizzato o forse solo in pace con me stesso come se qualunque cosa succeda va bene lo stesso, mi incammino lungo Bejing Lu, l'asse nord-sud che collega la stazione ferroviaria meridionale con la settentrionale, un lungo viale di grandi alberghi e botteghe cinesi che vendono oggetti in giada (più o meno autentica), vestiti in poliestere e lettori mp3. Il mio cervello inizia a funzionare e mi chiedo cosa posso fare:
1)aspettare le 11.50, andare a Shilin e vedere come fare a tornare;
2)rimanere a Kunming che, per quanto carina e moderna come piace a me, non è sicuramente Tokyo o Pechino;
3)salire su un autobus.

Alla stazione degli autobus, disordinata e con le immancabili bancarelle che vendono qualunque cosa, non sanno aiutarmi in quanto non ci sono autobus in partenza per Shilin. Decido di uscire e di farmi avvicinare da qualcuno che mi propone il passaggio per Shilin, cosa che avviene prontamente da parte due donne, un uomo e un paio di ragazzi.

“Shilin?”
“Yes, Shilin. How much?”
Un lungo discorso in cinese con numeri e parole scritte sul palmo della mano finchè mi portano in un parcheggio dove c'è un minibus bianco e scalcagnato.
Per 160 yuan c'è il tragitto di andata e ritorno per la Foresta di Pietra, partenza da Kunming alle 9.40 e ritorno da Shilin alle 16.30, circa 2 ore di viaggio.
Piano piano si aggiungono altre 6 persone, tutte cinesi tra cui una bellissima ragazza con due bellissime tette rifatte.
se c'è una cosa che non manca in Cina e che la rende a mio parere affascinante e l'assoluta mancanza di silenzio, ovunque si è investiti da una cacofonia di rumori di qualunque genere. Nel piazzale una ventina di ragazzi stanno facendo aerobica al ritmo di musica e appena salgo sul minibus l'autista accende il DVD player e proietta a tutto volume un film- musical che deve essere comico viste le risate delle altre persone (nella colonna sonora cìè anche la versione rifatta di un greatest hit di Ricky Martin).

Il viaggio dura circa 2 ore, tante per poco più di 80 chilometri su una strada abbastanza ben tenuta che attraversa una zona montagnosa bellissima e una gola molto scenografica. La prima sosta in un posto dimenticato a Dio, una serie di case a un piano, innumerevoli botteghe di meccanici che cercano di riassemblare pezzi arrugginiti di auto e camion, in mezzo a pozze di acqua. Un edificio enorme abbandonato e in rovina, forse un hotel per eventuali turisti o uomini di affari o molto più probabilmente un centro di comando del partito locale, orgoglio del paese una ventina di anni fa, rende l'aria opprimente e cupa. La sosta è una di quelle trappole per turisti, una rivendita di oggetti in oro, di bassa qualità a vedere dal colore giallo polenta, ma nonostante ciò qualcuna delle persone che sono con me sul minibus fa acquisti.


La tappa successiva è una bellissima serie di templi buddhisti disseminati su una collina a 25 chilometri da Shilin. Impossibile sapere il nome, a chiunque io chieda il nome mi risponde con una risata imbarazzata. La ragazza con le tette rifatte, che mi aveva risposto con un “Thank You” perchè l'avevo aiutata a salire sul minibus e quindi, secondo me doveva sapere l'inglese, ride coprendosi la bocca e mi ripete le altre 4 parole che conosce “Do you speak Chinese?”.
Appena scesi dal minibus in un parcheggio enorme con decine e decine di autobus, ci mettono sulla maglia un adesivo con numero identificativo affinché possiamo ci possano aiutare a ritrovare il bus al ritorno: intelligenti, no?
L'ingresso alla collina è dominato da una gigantesca statua del Buddha, quello dell'immaginario collettivo occidentale, grasso, seduto e ridente, giallo dorato. Sul retro i pellegrini appiccicano l'adesivo che ci hanno messo sulla maglia, con tanto foto ricordo, tant'è che la schiena è completamente coperta e c'è chi cerca di rompersi la testa salendo sul bordo scivoloso per la pioggia dei corrimano.

Ogni terrazza della collina ha un suo tempio, ognuno con diverse figure del Buddha. La pratica religiosa prevede che i fedeli salgano al secondo tempio e accendano degli incensi enormi, delle dimensioni dei nostri ceri pasquali, che fanno una fiamma enorme in cima e riempiono l'aria di cenere. Si inchinano tre volte verso il Buddha nella sala che guarda a valle e tre volte verso valle, prima di infilzare l'incenso in apposite vasche.
In cima alla collina c'è un enorme Buddha in piedi tra la vegetazione, la classica posizione della mano destra con il pollice che tocca il medio: peccato non sapere la simbologia dei Buddha, potrei capire molto di più di questo conoscendo solo chi sono le divinità venerate.

Arriviamo finalmente alla Foresta di Pietra, a Shilin, una distesa di rocce calcaree che sono diventate da pochi anni Patrimonio dell'Umanità. Non conosco i Camini delle Fate in Cappadocia, ma penso che il principio di formazione sia lo stesso, sono dei pinnacoli di roccia alti decine di metri alcuni, poche decine di centimetri altri disseminati su una vasta area. Un tempo qui c'era un mare che poi si è ritirato con la formazione della catena Himalayana. Il posto è sfruttato alla grande, del resto fanno fruttare bene i 140 yuan che chiedono all'ingresso, con sentieri puliti che corrono tutto intorno alla foresta e si addentrano nelle zone più pittoresche, tutte con nomi strani: “La moglie che aspetta il marito”, “la foresta minore”, ecc.

I primi giardini con queste formazioni non rendono bene l'idea della maestosità del luogo e della stravaganza della natura, vuoi per la quantità di turisti (Cinesi) che ci sono in giro e si fanno immortalare con indice e medio alzato in segno di vittoria, vuoi perchè sembra tutto troppo finto con cinesi vestiti in abiti tradizionali dell'etnia Yi, in particolare della popolazione Sani, e le scarpe da ginnastica ai piedi. Se però si vince l'impatto iniziale, in due ore di cammino perdendosi intorno e in mezzo alla foresta, si vedono dei panorami incredibili, sembra veramente di essere in una foresta in cui la vegetazione, comunque rigogliosa per la pioggia, è sopravanzata da questi alberi di roccia. L'impressione è però che la parte più bella e maestosa sia quella al di là dell'anello esterno lungo cui si può camminare.

Torno al minibus che sono ormai le 3, entro nel “ristorante” di fronte al parcheggio, chiedo una birra e mi ritrovo a pranzare, non so come ma l'insistenza è tanta, tra sigarette offerte e prontamente rifiutate (alcune colorate, altre lunghissime, altre ancora con il filtro fosforescente, sarebbero riuscite a far smettere di fumare anche il povero Funari) e discorsi infiniti in cinese alla fine mi ritrovo a ordinare un piatto di maiale con le i porri e dei noodle fritti, indicandoli sul tavolo accanto. In particolare il maiale con i porri è un piatto delizioso, non è maiale a pezzi ma quella che noi chiamiamo pasta di salame, cotta in brodo insieme alle verdure. Il conto è adeguato a un posto per turisti che vanno a vedere il Patrimonio dell'Umanità dello Yunnan: 10 yuan per una bottiglia di Lan Gang River, 20 per i noodle e 40 per il maiale). Non poco, considerando che ho mangiato insieme alle mosche, il cameriere ha passato uno straccio sul tavolo rovesciando per terra gli avanzi dei commensali precedenti e lasciando uno strato di unto iridescente simile alla benzina in una pozzanghera.

Anche il viaggio di ritorno prevede una sosta, proprio alle porte di Kunming.
Incredibilmente abbiamo impiegato solo 1 ora e un quarto a tornare da Shilin, l'autista corre come un pazzo tagliando le curve e sorpassando ovunque, anche in curva qualunque mezzo si trovi davanti a lui: basta attaccarsi al clacson e si spera che gli altri capiscono che stai arrivando. Quando ormai pensavo di avere davanti la serata da dedicare a girare per la zona ovest di Kunming, spingendomi più in là di Nanping Lu, nella zona musulmana, ci fermiamo in un Outlet Cinese. Mi spiego, sembra di entrare in un complesso di templi e in una residenza di qualche Re, costruzioni basse, di color rosso tutte lavorate con grandi porte colorate d'oro. Invece ognuna di queste costruzioni è un grande magazzino a tema: alimentari (si trova anche il prosciutto e una sorta di speck), libri e souvenir, oro e giada: ecco dove finisce la giada in vendita a blocchi nel Mercato delle Pietre Preziose di Yangon, tutti quei blocchi di giada e simili circondati da Cinesi che offrono all'asta per assicurarseli!
Ripartiamo con una ragazza amica dell'autista che lavora in uno di questi negozi, ci stringiamo sul già piccolo minibus e qui inizia il bello.
Entriamo in Kunming sotto un nubifragio e con un traffico impazzito, dobbiamo accompagnare a casa la ragazza ma lei non sa come fare ad arrivare, imbocchiamo strade sempre diverse ritrovandoci sempre nello stesso punto imbottigliati nel traffico. Finchè ci infiliamo nel parcheggio di un hotel, probabilmente nel tentativo di tagliare il traffico ma è la fine. Rimaniamo bloccati tra due colonne di autobus turistici che provengono in senso inverso in una stradina a senso unico. L'autista suona come un pazzo il clacson sperando che si volatilizzino gli autobus che, si guardano l'un l'altro in attesa di vedere chi è il primo che innesta la retromarcia. Intanto perdiamo i pezzi, un signore e il figlio che sono con noi scendono e prendono un taxi. Dopo 10 minuti in cui bestemmio ad alta voce insultando l'autista con lui che mi guarda incazzato mentre la “tette rifatte” sta tormentando il marito come se fosse colpa sua della situazione in cui ci troviamo (tutte uguali le donne), scendiamo tutti lasciandolo lì con la sua amica che parla al cellulare e prendiamo anche noi un taxi.

Ormai stremato e con la necessità di andare in bagno (ho provato in vari posti lungo la strada ma erano talmente sporchi che anche le mosche avevano schifo) raggiungo l'hotel che sono ormai le 8, quasi 4 ore per fare 80 chilometri.
Anche questa è la Cina!

La cena nel quartiere musulmano salta, domani mattina la sveglia è prevista alle 4.30 perchè alle 5.20 devo essere in aereoporto, quando mai ho deciso di prendere il volo delle 7.20 per Dali, pensavo che sarebbe stato sufficiente arrivare al check- in 40 minuti massimo 1 ora prima, chi vuoi che vada a Dali!
Quindi provo il Lotus Bar dell'hotel, lo stesso bar delle colazioni dove c'è una pianista che suona un pianoforte a coda bianco.
Provo il Club sandwich, niente birra ma acqua tonica (67 yuan)... per la malaria.

26.7.08- h 20.10
Kunming

Tale e tanta è la stanchezza che non mi accorgo della partenza del volo MU5802 dell China Eastern Airlines con destinazione Kunming. A conti fatti sono quasi 24 ore che sono rinchiuso o nel terminal di un aereoporto o in un aereo. Incurante delle urla, risate fragorose e scatarrate tirate su dall'ultimo e più piccolo alveolo (sono l'unico Occidentale sull'aereo), cado in un sonno profondo che nemmeno il decollo e il volo disturbato dalle perturbazioni riescono a svegliarmi.
Mi sveglia dopo circa 2 ore il Cinese seduto accanto a me, con una gomitata mi fa cenno che stanno servendo da mangiare. Brutto figlio di puttana, mi svegli come se portassero ostriche e caviale invece servono un pasto che nemmeno i miei cani mangerebbero: non solo, ma nemmeno lui lo mangia, lo annusa e lo passa agli amici seduti dietro.

E' proprio vero, se vuoi vedere il sole, in queste zone devi prendere l'aereo e bucare il primo strato di smog misto a umidità e il secondo di nuvole minacciose e cariche di acqua. Sopra abbiamo un cielo azzurro, sotto una distesa indistinta di nuvole grigie.
A Kunming, dove atterriamo alle 15.30 con una buona mezz'ora di ritardo, ci aspettano pioggia, vento e una temperatura che mi fa pentire di non aver preso una giacca a vento. L'aereoporto ricorda molto quello di Casablanca non solo nell'aspetto e nel trambusto (una decina di rulli per i bagagli in un corridoio stretto), ma anche perchè il mio bagaglio è uno degli ultimi ad arrivare, quanto meno qui non me l'hanno smarrito.

Giro e rigiro all'uscita in attesa della persona del Kunming Hotel che dovrebbe venire a prendermi ma non c'è traccia di cartelli scritti in caratteri latini, solo in cinese: speso che non siano così deficienti da essermi venuti a prendere con un cartello in cinese. Vabbè, è una menata perchè non ho voglia di fare una coda interminabile per il taxi (oltre al fatto che so già che mi fregano, devo averlo scritto in faccia), mi allontano dalle uscite e cerco la staazione degli autobus: ci dovrà pur essere una stazione degli autobus. Chiedo a un poliziotto ma si gratta la testa come per dire “non ho capito un cazzo”. Fortunatamente sulla strada principale ci sono delle fermate dei pulmann, appena se ne ferma uno chiedo con un cinese impeccabile

“Kunming fandian?”

Se avessi chiesto kunming hotel non avrebbero capito niente, ma almeno mi sarei aspettato che mi rispondesse “si o no”, non con una frase lunghissima. Un ragazzo che parla Inglese mi traduce, praticamente il pulmann non portava all'hotel Kunming ma vicino e mi avrebbe fatto cenno quando avrei dovuto scendere. Pago 1 Yuan (circa 9 centesimi di euro) e in mezz'ora entro in Kunming. E' una bella città, pulitissima, ordinata, un lungo viale alberato porta dall'aereoporto al centro, i lampioni della luce sono rivestiti di fiori di plastica, probabilmente eredità dell'Expo Mondiale dell'Orticoltura del 1999.
Il pulmann effettivamente non arriva all'hotel Kunming, si ferma fuori, lungo la strada! Non so cosa intendesse l'autista, che volevo entrare in stanza o nella hall?
Il Kunming hotel è un classico enorme hotel in stile cinese, hall molto grande e molto alta, piena zeppa di negozi.
Alla reception mi mostro seccato per il contrattampo del taxi, stupito che un hotel del genere possa lasciare un cliente in attesa all'aereoporto, contrariato per aver dovuto pagare io il taxi quando il transfer dall'aereoporto è compreso nel prezzo della camera. Si mobilitano una mezza dozzina di persone, tra cui l'Assistant Manager: mi chiedono se avevo cancellato la prenotazione, telefonano e contattano persone a me sconosciute. Alla fine mi fingo magnanimo

“non voglio lo sconto ma mi portate il 28 luglio in aereoporto, quando avrò l'aereo per Dali”

L'Assistant Manager mi ringrazia e quando gli dico a che ora devo essere in aereoporto, alle 5.30 della mattina, ha una smorfia come se si sentisse fregato.

Cerco un pacchetto di sigarette in uno dei tanti negozi dell'hotel, solo sigarette cinesi dai pacchetti incredibilmente colorati e raffinati, con motivi floreali, dal prezzo non proprio “cinese”, dai 2 dollari e mezzo ai 7 dollari. Chiedo al negoziante un pacchetto di Marlboro Lights (le Philip Morris non penso sappia nemmeno cosa siano), apre uno scaffale e tira fuori un pacchetto di Marlboro Rosse morbide, le peggiori, Made in USA (anche se le scritte sul pacchetto sono in cinese) quindi asfalto puro.

Salgo in camera ed è una signora camera: per 468 RMN, poco più di 40 euro al giorno, ho una camera doppia con letti a una piazza e mezzo, la solita moquettona da tagliare con il tagliaerba ma stranamente pulita, una vista incredibile sui grattacieli del centro finanziario di Kunming, un cesso enorme, la rete ADSL gratis e un computer sul comodino con cui controllo tutto ciò che si può controllare in camera: TV, radio, luce del bagno, aria condizionata, luce “do not disturb” fuori dalla porta.

Una rapida doccia e alle 19.00 sono fuori dall'hotel sotto la pioggia, in direzione ovest lungo Donfeng Dong Lu, l'arteria principale est-ovest dove c'è l'hotel Kunming e il Palazzo della Cultura dei Lavoratori, un edificio recente e moderno tipicamente comunista cinese, alto, giallo senape con lo stemma della Repubblica Popolare Cinese al centro.

Il passaggio tra la zona “vecchia” quella a est del fiume Panlong (marrone che più marrone non si può) e quella a ovest è facilmente riconoscibile con una decina di grattacieli di banche e hotel che circondano l'incrocio. Si entra in una Dotombori in miniatura, il quartiere “Blade Runner” nella zona di Minami (o Kita?) di Osaka. Luci al neono ovunque, ristorantini alternati a negozi di souvenir, grandi firme soprattutto sportive, marche di abiti. La strada si chiama Nanping Lu, un'esplosione di colori prima di arrivare alla Moschea di Kunming.

Per la cena in Nanping Lu non manca certo l'offerta, al centro della strada, che è pedonale, ci sono delle bancarelle con i tavolini che vendono spiedini da friggere con qualunque cosa di commestibile, tanto nel regno vegetale quanto animale. Ma fedele al mio principio “non mangio gli spiedini non perchè non mi le bestie che ci sono infilzate ma perchè non so in che olio sono fritti”, entro in una catena di ristoranti che fanno degli ottime zuppe di noodle (3 euro scarsi per un mega piatto di noodle con carne e verdure, veramente squisiti). Peccato che sia l'unico ristorante si una certa importanza del centro di Kunming che abbia le scritte solo in cinese, il logo in cinese, tutto! Quindi, se qualcuno capitasse per caso da kunming e volesse provarlo, deve andare a caso su Nanping Lu dirigendosi verso la Moschea, in fondo alle bancarelle alimentari sulla sinistra. Chiaro no?

sabato 26 luglio 2008

30 ore in giro per aereoporti

Cadorna.


Immaginate una sfera, questa è Milano.

Immaginate due punti sulla sua circonferenza, diametralmente opposti, uno è la casa di Marco e Giovanna, in via Muratori, l'altro è la stazione di Cadorna da cui parte il Malpensa Express.

Immaginate due diavolerie moderne, l'EcoPass e un navigatore satellitare.


Bene, entrambi sono stati creati per migliorare la vita del cittadino: abbattere lo smog nel centro (fa niente se lungo l'anello circolare interno decine di migliaia di veicoli vomitano veleni, l'EcoPass tiene tutti lontani e al sicuro. Brava Moratti, del resto con un cognome così non potevi che fare una cazzata!) e permettere di trovare la strada in maniera infallibile.

Peccato che se queste due geniali invenzioni non comunicano tra loro e la voce da finta segretaria di Monica vuole a tutti i costi che tu sfidi le telecamere dell'EcoPass, ti ritrovi a bestemmiare tutti i santi del calendario in ordine cronologico mentre cerchi di ricostruire mentalmente la mappa di Milano per capire come fare a superare il fossato creato dalla Moratti.


Finchè, ormai sotto all'occhio del Grande Fratello Ecologico, vicino a Piazza Castello, mi affido alla categoria che più detesto: i tassisti.

Dall'alto del mio sedile strombazzo al Mercedes bianco accanto a me mentre Monica mi ricorda sul monitor Nokia che sono a meno di 1 km e mi disegna una freccia che entra diritta nel cuore di Milano, incurante di telecamere, tasse e multe.


“scusi, per Cadorna?”

“sempre dritto”

“ma c'é l'EcoPass”

“sempre dritto”

“non c'è una strada che gira intorno?”

“no”


Prendo il coraggio a due mani e, mentre Ale inizia a ripetere incessantemente che prenderò la multa, conquisto il centro di Milano.


Ora, ragionando ad alta voce, arrivo a queste conclusioni:

  1. l'ennesimo tassista mi ha fottuto (avrà pensato “Bergamasco sul tuo Defender del cazzo, appena riceverai la multa capirai che la prossima volta ti conviene prendere il taxi”);

  2. l'ennesimo politico ha trovato il modo di estorcermi denaro. Come dice Gioele Dix “preferirei che mi puntasse una pistola alla tempia dicendomi “mani in alto, questa è una rapina”;

  3. ma come facevamo a vivere e a muoverci quando non c'erano i navigatori satellitari? Erano meglio le care e vecchie cartine che una volta aperte non riusci più a richiuderle nel verso giusto, un po' come i bugiardini delle medicine, ma almeno tenevano impegnata la mente e non mentivano mai;

  4. ho paura che, essendo in Italia, la risposta sia la più semplice e la più assurda al tempo stesso: la stazione dei treni per il secondo aereoporto più importante d'Italia è in una zona a traffico limitato! Come la stazione dei treni in Piazza Vecchia.


PS: Malpensa Express. 49 km in 40 minuti al costo di 11 euro!


Il cibo sugli aerei.


Non so voi ma, personalmente, impazzisco per il cibo sugli aerei.

Le compagnie low- cost, se da un lato hanno rivoluzionato il concetto stesso di viaggiare permettendo di scegliere tra Firenze e Londra per un week- end corto e in economia (anzi, a conti fatti ormai visti i costi della benzina e del gasolio costa meno andare a Londra che un week- end al mare in Toscana o sull'Adriatico), dall'altro hanno tolto (mi hanno tolto) un piacere che non si può spiegare che è quello del cibo preconfezionato dell'aereo.


Cosa ci sarà di buono in un panino di plastica, in un contorno spesso insapore, in un primo scotto e insipido che sembra vomitato accanto a un secondo salatissimo e in un dolce ipercalorico e ipergustoso? Non lo so, però il mio viaggio in aereo non ha lo stesso sapore, lo stesso valore se non è accompagnato da un vassoio il cui contenuto sembra studiato da un maestro di ergonomia, tutto al suo posto e guai a spostare un cucchiaio, non ci starà più a meno di ritrovare la disposizione originale.


E non è la stessa cosa comprare un pacchetto di Pringles, un sandwich o un panino di plastico, non ha lo stesso gusto di viaggio di un vassoio su un tavolino traballante.


Ecco la mia personalissima classifica:

1° posto: KLM;

2° posto: Thai Airways;

[...]

penultimo posto: Alitalia (volo per il Giappone accompagnato da una vaschetta ancora congelata oltre che da hostess e stewart maleducati e arroganti -ma non si rendono conto che sono camerieri con delle ali sotto i piedi?-)

ultimo posto con stima: Air Koryo, poverini è già tanto che i Tupolev degli anni '60 siano ancora in grado di alzarsi in volo.


Comunque, i voli Finnair non sono male, sicuramente i prezzi bassi (820 euro andata e ritorno) sono giustificati dalla scomodità del trasferimento a Helsinki, 3 ore dalla Malpensa quasi all'interno dello stesso meridiano (solo 1 ora di fuso orario) dopodiché devi imbarcarti in un volo intercontinentale lungo tanto quanto un volo dall'Italia. Inoltre gli aerei sono un po' vecchi: sembrerà strano ma le comodità fanno in fretta a rendersi indispensabili e sono difficilissime da dimenticare. Come si può fare, dopo viaggi con il proprio schermo piatto che fuoriesce dal bracciolo o appeso al sedile davanti, con un telecomando su cui scegliere film e musica on- demand, a passare 9 ore di aereo guardando un televisore appeso alla carlinga dell'aereo?


25.7.08- ore 20.00

Volo Helsinki- Shanghai da qualche parte sopra la Siberia.

Il tramonto visto da un aereo è quanto di più ipnotico e rilassante, lo conquisti poco alla volta e non è lui che arriva. Dal finestrino vedi i colori cambiare, il colore del cielo si colora, da azzurro chiaro, quasi bianco diventa blu, tonalità via via più scure e piano piano vedi comparire dall'orizzonte delle tonalità gialle, poi arancioni e infine rosse. E' l'aereo che va incontro al tramonto, non è il tempo che passa che fa arrivare buio. Il paesaggio sottostante si fa sempre più definito, anche se da queste parti è difficile riconoscere qualche centro abitato.


Intanto inizio ad abituarmi ai Cinesi. Una ragazza sta facendo dei passi di danza davanti al cesso; due uomini comunicano urlando davanti ai miei piedi. Il più giovane sembra uscito da un cartone animato, grassissimo che mi chiedo come faccia a fare 9 ore di aereo in Economy, una maglietta gialla che lascia scoperta un striscia di pancia bianca e assolutamente glabra, uno più anziano, i pantaloni eleganti stretti poco sotto lo sterno, i sandali e un anello con un diamante o un pezzo di vetro grande come un'arachide che probabilmente da anni o decenni sta fermando il sangue del dito medio della mano destra.


26.7.08. h 10.00

Shanghai.


Atterro a Shanghai Pudong alle 7.10 ora locale, sono l'una di notte in Italia in quanto il fuso orario durante l'ora legale si riduce a “sole” 6 ore. Sinceramente, per essere la New York del 21° secolo, il motore trainante dell'arrembante e aggressiva economia cinese, mi aspettavo che, almeno una parte dei mille e trecento milioni di Cinesi fosse qui ad attendermi. Invece trovo un aereoporto ancora sonnolento, sarà che sono appena le 7 del mattino, ma nulla a che vedere con il caos allegro di Bangkok o di altri Paesi del Sud- Est Asiatico. Solo una coda lunga, lenta e disordinata al controllo dei passaporti mi ricorda che siamo in Cina. Dopo un veloce controllo ai raggi X dei bagagli in ingresso, esco nella hall degli arrivi. Ordine e ancora ordine. Davanti alle transenne solo una decina di autisti con i loro cartelli esposti in attesa della persona da portare in città, il nome per esteso e il cognome puntato come se di Mr. Giovanni P. ce ne fossero pochi in Italia o Mr. Jorge S. giusto un paio in Spagna.

Un paio di stewart stanno tenendo a bada altri Cinesi poco fuori dall'atrio, ordinati in fila, forse non possono entrare ad aspettare per non gustare l'ordine che non ha nulla di Orientale.

Tutti i negozi sono ancora chiusi, l'unica banca non ha ancora aperto i battenti e devo cambiare in un cambia- valute che applica un cambio favorevolissimo per loro (1 €= 10,43 RMN invece che quasi 11).

E' comunque semplice orientarsi, le scritte in Inglese non mancano e trovare la pensilina dell'autobus che porta all'aereoporto di Hongqiao, dalla parte opposta della città è facilissimo. Si segue il cartello con scritto Airport Bus ed eccomi all'esterno, lungo la strada in un caldo umido feroce (ci sono già 29°). L'autobus numero 1 collega i due aereoporti: Shanghai Pudong, dove ormai atterrano tutti i voli internazionali, è stato inaugurato nel 1999 in quella che era una zona agricola e di risaie, Pudong appunto, una quarantina di chilometri dal centro, risaie che vedi ancora qua e là lungo la strada, nonostante le mastodontiche gru siano già in azione per innalzare gli unici edifici che sembrano siano permessi a Shanghai, i grattacieli; Hongqiao si trova, invece, a una decina di chilometri scarsi a est del centro.


L'autobus è un fantastico esempio di mezzo di trasporto cinese evoluto: sedili in pelle consunti, aria condizionata che sembra di entrare in un camion Bofrost, quel tanto di sporcizia per terra tra carte, pagine di giornale e bottigliette vuote e un bello schermo LCD che alterna pubblicità sui nuovi megacondomini di Shanghai ad analisi di borsa a sfilate di moda, il tutto in un irreale silenzio se paragonato al volume infernale dei Karaoke di queste zone.


Il percorso da Pudong a Hongqiao (30 RMN) durerà a dir tanto una quarantina di minuti, occhio e croce dal momento che sono in giro senza orologio (furbo vero per uno che gira zaino in spalla e da solo?) e devo essermi anche abbioccato. Il panorama al di là del finestrino sicuramente non aiuta a tenermi sveglio, nemmeno un po' di traffico, le strade ordinate, diritte senza una curva, solo qualche cavalcavia che si innalza per una cinquantina di metri per superare ora il fiume di Shanghai, Huangpu, ora una zona abitata. Il cielo è grigio, il limite visivo all'orizzonte sarà al massimo di un paio di chilometri, mi piace credere che lo sia per via dell'umidità e non per lo smog.


L'aereoporto di Hongqiao è invece caotico come piace a me, finalmente mi sento in Asia. Un controllo ai bagagli ancora fuori dal terminal per vedere se ci sono esplosivi (è di 4-5 giorni fa l'attentato a Kunimng in cui sono morte 3 persone in seguito a delle bombe su due autobus) e poi mi tuffo in una moltitudine vociante e confusa di cinesi che partono, cinesi che arrivano, cinesi che accompagnano o che vengono a prendere parenti e amici.


I prezzi sono ancora Shanghainesi (si dirà così?) se non Europei: l'International Host Chalom è uno dei due bar dell'aereoporto, una vetrina all'ingresso mostra repliche perfette in silicone dei piatti che cucinano, dai noodle agli “spagetti Italian”, dai sandwich club al tempura giapponese. Un caffè 3 euro e mezzo (!!), una birra in lattina idem, un sandwich 5.