MOMA

MOMA

mercoledì 30 luglio 2008

30.7.08. h 11.00
Lijiang.

Il minibus che deve venirmi a prendere alle 8.40 davanti alla guesthouse non è il pullmino piccolo e raccolto che immaginavo ma uno scassone coreano di 45 posti, sporco e vecchio. Una macchina mi carica alla guesthouse, gira l'angolo, sale pochi metri e mi lascia sullo stradone che corre lungo le mura occidentali di Dali, dove altre persone, in prevalenza cinesi, stanno attendendo l'arrivo della corriera. Va bene lo stesso, l'importante è arrivare al più presto a Lijiang per non perdere una giornata intera, dal momento che domani alle due partirò per la Gola del Balzo della Tigre o, come dicono qui storpiando un po' le parole “Tiger Leaping Gorge”.
Sui cartelli alla guesthouse è riportato che ci sono due modi per arrivare a Lijiang, la strada vecchia che impiega 5-6 ore, che passa tutti i villaggi e la strada nuova, “Express Way”, che impiega “solo” 3 ore per arrivare a Lijiang. Meno male che la strada che percorriamo è la nuova, non oso immaginare il viaggio massacrante che si deve fare sulla vecchia, in quanto già questa è tutta buche e asfalto sconnesso, una curva dietro l'altra affrontate senza troppi riguardi per gli organi meccanici del vecchio bus e per chi procede in senso contrario. Il paesaggio comunque, a parte i primi tratti che costeggiano il Lago Erhui, piatti e anonimi, diventa affascinante non appena arriviamo all'estremità nord del lago e il bus si inerpica su per le colline e le montagne. La vegetazione è fitta e di un verde intenso come solo nei Paesi tropicali si può trovare, le montagne una continua distesa verde, interrotta a tratti dal qualche taglio dovuto alle frane o da veri e propri squarci causati da qualche cava poco riguardosa nei confronti della Natura.

Accanto a me è seduto un bambino cinese di pochi mesi, 8- 10 al massimo, grasso che più grasso non si può, pacioccone e sorridente, con il triplo e quadruplo mento e le guance come due palloncini. E' l'orgoglio della famiglia, viene agitato davanti a tutti e lui ride, non riesco a spiegarmi come possa essere così grasso con la famiglia esile e magra che si ritrova. Un futuro lottatore di “sumo” se fossimo in Giappone, qui non so, un Piccolo Buddha?

Il “minibus A/C, no- stop e no- smoking” che dei quattro requisiti tanto publicizzati a Dali ha solo l'ultimo, dopo un'ora e mezzo circa si ferma dopo un passo in un enorme piazzale ai piedi di una montagna, con al centro un capannone di circa 200 metri per 100, pieno di vetrine di oggetti in argento e giada, almeno un centinaio con non meno di due- trecento ragazze vestite in abiti tradizionali Naxi. Migliaia di braccialetti di giada tutti uguali e di un verde pallido che Frankie ci aveva insegnato essere di bassa qualità; nonostante ciò i prezzi sono quasi Europei con una media di 30 euro e più.

Dopo la strada si fa pianeggiante e diritta, una vasta distesa di terreni agricoli e di piccole imprese familiari di lavorazione delle pietre che sono estratte dalle cave intorno, case basse e piccole con i tetti grigi di pietra, qua e là delle villette più grandi, due piani bianchi con i terrazzi, circondate da alte mura, i ricchi della zona che possono permettersi Fuoristrada Giapponesi e qualche cellulare in più, dal momento che la Cina contemporanea garantisce a tutti non più una scodella di riso ma un telefonino, basta che non si rompa i coglioni con sciocchezze come libertà o libere elezioni.
Si incontrano anche le prima risaie che, ora che ci penso, non avevo ancora visto da nessuna parte, piccole e non paragonabili a quelle dell'immaginario collettivo dei film, su terrazze ricavate in colllina, le nuvole basse sui pinnacoli di roccia che si innalzano per centinaia di metri nel cielo. Niente di tutto questo ma vedere una risaia in Cina solo dopo 5 giorni è strano però, ora che ci penso, il cibo che ho mangiato fin'ora non aveva tanto riso negli ingredienti. Forse la cucina dello Yunnan è diversa.

Anche qui da queste parti si vedono, sui tetti delle costruzioni più grandi, delle bizzarre antenne che pensavo fosse una caratteristica kitch solo di Kunming: riproducono la forma della Torre Eiffel. E' nata prima la struttura che poi è stata usata per fare la Torre Eiffel oppure la Torre Eiffel ha creato una struttura nuova? Sta di fatto che sembra di vedere le riproduzioni pacchiane che si possono incontrare a Tokyo, con la Statua della Libertà in scala ridotta nella baia del fiume o i canali di Venezia a Las Vegas.

Arriviamo finalmente a Lijiang, sono le 13 passate, altro che tre ore.
Lijiang, che pensavo fosso un gioiellino raccolto e piccolo, è una città più grande di Bergamo con una zona moderna e tutto sommato anonima esterna a est, con enormi grandi magazzini e hotel luccicanti, e Old Lijiang, un intrico di stradine vecchie lastricate, ancora più piccole e contorte di quelle di Dali.

La stazione dei pulmann è qualche chilometro a sud di Lijiang vecchia. dove ho prenotato la camera per dormire.
Fermo il primo taxi, niente! Il secondo, niente, tutti si riufiutano di portarmi a Lijiang vecchia. Chiedo a una ragazza cinese, che è scesa con me dall'autobus e che anche lei, dopo di me, ottiene lo stesso rifiuto, cosa succede e, in un Inglese molto elementare mi dice che il tragitto è troppo corto. Hai capito? Come cazzo fare? Già sto pensando di chiamare da un telefono che vedo dall'altra parte della strada quando si avvicina un uomo di circa 45 anni, ma potrebbe anche avere la mia età, con un bicicletta a tre ruote con un pianale dietro. Gli mostro la piantina scritta in caratteri cinesi che tutti gli hotel inviano per e-mail affinché i tassisti possano portarti nel posto giusto senza guardare un indirizzo per 2 minuti con la faccia inebetita e mi fa cenno con la mano destra di salire sul pianale dietro. Chiede 20 yuan (2 euro), una follia! Contratto e alla fine, per la metà della cifra richiesta monto con zaini e borsone accucciandomi alle sue spalle. Ma mano che acquista velocità una folata di sudore mista a sporco mi investe, non mi resta che infilare il naso nella maglietta.
Inizia una strada in salita, vedo che si alza sui pedali mentre la bicicletta si ferma, scendiamo tutti e due e continuiamo a piedi.
Arriviamo all'ingresso di Lijiang Vecchia e devo continuare a piedi perchè le biciclette non posso entrare.
Il Sanhe Hotel si trova in una delle stradine pavimentate, straboccanti di negozi turistici che vendono la solita paccottiglia di oggetti in giada e legno. Il posto è molto carino, ci sono tre coorti interne con un giardino circondato dalle camere, tutto in legno. Il prezzo è più elevato rispetto a Dali (350 yuan) ma in generale tutto qui costa di più.
In sé Lijiang, dal 1997 Città Patrimonio Mondiale della Cultura, sarebbe anche carina (nonostante le cartine in vendita nei vari negozi la reclamizzino come “la città più romantica del mondo”), le stradine tortuose e strette, le case basse tutte di legno, piena di corsi d'acqua e ponticelli in pietra. Peccato che i negozi tutti uguali, ognuno la fotocopia dell'altro, la retrocedano a una trappola per turisti, che qui non mancano di certo, orde di cinesi con videocamera e ombrellini parasole e i soliti pochissimi occidentali.

A nord della città vecchia c'è la parte più bella di Lijiang, il Parco dello Stagno del Drago Nero detto anche Parco della Sorgente di Giada per via delle sue acque verdi e cristalline (più o meno). Percorrendo una stradina che costeggia un corso d'acqua, il Lungofiume di Giada, fiancheggiato da alberi piegati su loro stessi i cui rami arrivano a toccare l'acqua, si arriva all'ingresso sud dove c'è la biglietteria, 80 yuan per entrare (in generale l'ingresso alle attrazioni principali dello Yunnan è caro rispetto al costo della vita qui, il tempio Chongsheng a Dali, per esempio, è costato 120-140 yuan, ma se serve a mantenerli così bene come ho visto fin'ora sono soldi spesi bene e che dai volentieri).
I nomi dei complessi all'interno sono sempre molto fantasiosi, è questa una caratteristica e bellezza tutta cinese, riuscire a trovare un nome poetico a qualunque cosa: il Padiglione da 1 Cent, al centro del lago dall'acqua effettivamente pulita e limpida, dove si rispecchiano le montagne a nord di Lijiang, deve il suo nome al fatto che è stato costruito con le donazioni di una donna religiosa che aveva raccolto dei soldi per un lungo periodo, 1 centesimo alla volta; il Padiglione che abbraccia la Luna; la Sala delle Cinque Fenici.



Le strade a sud dell'albergo, diventano via via sempre più strette, sembra quasi di essere in un souk arabo o in una medina del Marocco, se non fosse per i suoni completamente diversi ma ugualmente stimolanti e per gli odori, speziati entrambi ma con un vago sentore dolciastro qui.

Tutte le strade (beh, quasi tutte) di Lijiang vecchia, chiamata anche Dayan che è il “borgo” più importante, o Gucheng (“Vecchia Città”) dai locali, portano alla Piazza del Mercato (Sirfung Jieh), una piazza piccolina ai piedi della Collina del Leaone, meravigliosamente circondata dalle casette in legno se non fosse per il mare, anzi oceano di turisti.

Ogni Nazione ha la sua Venezia. Noi abbiamo la città forse più bella al mondo, un museo in ogni sua strada e palazzo, poi c'è Amsterdam in Olanda, Nara in Giappone, Hoi An in Vietnam, il “Venice” a Las Vegas (perchè gli Americani non potevano esserne senza): in Cina c'è Lijiang. E' tutta attraversata di ruscelli, piccole cascate, ponti in pietra, piazzette che si aprono dopo stradine tortuose, le più defilate deserte e magiche. Poi arrivi nella Piazza del Mercato e ti sembra veramente di essere a Venezia, una piazzetta meravigliosa colma di turisti con macchine fotografiche, in posa sul ponte, le dita alzate in segno di vittoria.
Pian piano mi sto ricredendo sull'impatto iniziale di Lijiang, o meglio bisogna guardarla con un filtro che annulla la presenza dei negozi e dei turisti: se riesci a comprenderne la bellezza ti colpisce dentro.

Alle spalle della piazza c'è la Collina del Leone, chiamata così perché da lontano sembrerebbe un leone. Una scalinata nemmeno troppo lunga ma che taglia il fiato porta alla torre Wangulou, una struttura di 33 metri in legno dalla cui sommità c'è una vista meravigliosa di Lijiang Vecchia a est, ormai all'ombra delle montagne con il sole che sta tramontando, a ovest Lijiang nuova con i suoi tre o quattro grattacieli. Sullo sfondo le Montagne della Neve del Drago di Giada sono coperte dalla foschia e dalle nuvole. Uno sguardo su Lijiang Vecchia, con i suoi tetti grigi compatti, tutti ravvicinati tanto che sembra che non possa cadere uno spillo per terra, ricorda la stessa struttura di Kaesong in Corea del Nord vista dalla collina con la grande statua di Kim Il Sung, solo che qui si respira un'aria di festa e non la tragedia dell'ultimo, anzi l'unico Paese comunista rimasto.
Anche qui l'ingresso è di 80 yuan più altri 15 yuan che mi chiedono facendomi vedere un altro biglietto e che non so cosa a cosa si riferisca.

Questa sera non resisto e cedo a una tentazione malsana. Esco dall'albergo dopo aver scritto il diario da caricare sul blog più tardi (la mia stanza è l'unica in cui il cavo di rete non funziona!!), faccio un giro per le stradine e veramente sembra di essere a Venezia, ci suono i buttadentro davanti ai ristoranti, la maggior parte con orchestrina che suona musica Naxi e delle ragazze che, vestite in abiti tradizionali, pateticamente ballano. Decido di uscire dalla Lijiang Vecchia, del resto si tratta di girare l'angolo e passare un ponte in pietra, dove c'è l'ingresso alla parte storica, così brutto e pacchiano che peggio non potevano fare. Un bassorilievo alto qualche decina di metri e lungo una cinquantina, nuovo di pacca, color ruggine; sotto due ruote tipo “Mulino Bianco” con un ponte ricostruito dove farsi immortalare da una schiera di fotografi con macchine digitali e tagliandi “Ready in 5 minutes!” da distribuire ai malcapitati.
Faccio poche centinaia di metri e, ai piedi di un grande magazzino vedo Lui, il diavolo che mi tenta e so già che questa notte me ne pentirò.
Il KFC: Kentucky Fried Chicken. Mi ha colpito ai tempi delle vacanze studio in Inghilterra, ricordo ancora, era agosto del 1990, Londra. Da allora mi ha affondato e, ogni volta che vado all'estero almeno una volta cedo alla tentazione. Perchè non ci sono in Italia?
Mi piace l'odore di fritto appena entri e che ti porti sotto le coperte, mi piaciono le dita unte mentre mangi le cosce di pollo fritte “nell'olio con ricetta speciale del Kentucky), un po' meno gradisco il peso sullo stomaco e il riproporsi del sapore il giorno dopo.

Una birra da Lamu, ristorante e bar tibetano di fronte all'hotel, che ha la connessione WiFi, giusto in tempo per aggiornare Internet e per scambiare dei messaggi su Skype con Ale (non si può usare per evitare che tutti parlino ad alta voce: ma non siamo in Cina?), poi il computer si spegne perchè la batteria è scarica.

Un altro tentativo di collegarmi in camera, non capiscono che non si tratta del cavo di rete (me ne portano 4 in 10 minuti), poi a nanna. Domani mi viene a prendere Sean, il titolare di una guesthouse in mezzo alla Gole del Balzo della Tigre per un trekking di 3 giorni nella gola.

PS: in Cina non esistono gli scopettoni del water. La prima sera pensavo non lo avessero messo in hotel a Kunming, ma è il sesto giorno che non li trovo. E' un bel problema!

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