MOMA

MOMA

martedì 29 luglio 2008

29.7.08. h 13.00
Dali.

Questa notte un acquazzone incredibile, fortunatamente finora (sgrat sgrat) inizia piovere solo la sera tardi, di giorno nuvole nere e ogni tanto qualche tuono ma niente di più.

Mi alzo con la bocca impastata di aglio per colpa del pane al burro di aglio di ieri sera, mi lavo tre volte i denti e scendo per colazione.
Cosa fare?
I posti da vedere sono tanti, i monti alle spalle di Dali pieni di templi o il lago. Potrei prendere una bicicletta in affitto alla guesthouse ma non ho voglia di faticare.

Esco e mi incammino lungo Bo Ai Lu verso sud, poco dopo la guesthouse c'è la Moschea di Dali, un complesso tipicamente cinese ai cui angoli spiccano due cupole azzurrine e al centro un minareto basso con una mezzaluna. Entro e mi avvicino nella corte centrale, dove sento una cantilena di più voci. In una piccola stanza stanno facendo lezione di arabo, un ragazzo giovane con il copricapo tipico e una lunga bacchetta di legno sta indicando su una lavagna nera dei caratteri arabi mentre la scolaresca ripete. La scolaresca è composta da anziani, uomini e donne mischiati tra loro, non la rigida separazione che ci si aspetterebbe in un paese musulmano. Nell'aula accanto un gruppo si bambini sta ripetendo in coro delle frasi di cui riconosco solo la parola “bismillah”.
Niente in questa corte fa pensare che sono in un posto musulmano, ovunque scritte in cinese e la tipica architettura cinese, con tanto di sala di preghiera di fronte alle aule chiusa da una porta tutta intagliata.

Attraversando la strada c'è una via nuovissima, moderna, non più lunga di una cinquantina di metri. Honlongjing Lu, una serie di costruzioni in legno a due piani, al piano terra il negozio con una grande vetrata, al piano di sopra tutti dei balconi in vetro, dei lampioncini tutti uguali abbelliranno la strada una volta aperta. I negozi sono in vendita o in affitto, come si vede dai cartelli con il numero di telefono.
La porta meridionale è sicuramente la più bella, maestosa, anche perchè è il punto di accesso principale alla Città Vecchia di Dali. Da qui inizia il percorso lungo le mura, tutte un saliscendi per seguire la conformazione del territorio.

Uscendo dalla porta meridionale e prendendo la prima strada a destra, dopo aver attraversato la strada principale che costeggia Dali e salendo un piccolo sentiero si arriva al Tempio Hongshen, in cui c'è una Pagoda del tutto simile a quella più grande del Tempio Chongsheng, in muratura giallina.
Una sbarra di legno e un cartello annunciano che la zona del Tempio non è accessibile perchè non è stata ancora recuperata dall'incuria e dal passare del tempo. Scatto qualche fotografia e vedo comparire un cagnolino bianco e nero che rincorre dei polli, seguito da una signora. Con gesto inequivocabile, i due indici incrociati che significano 10, mi fa cenno che se voglio entrare devo pagarle 10 yuan. Non ci penso 2 volte, le do la banconota e alza la sbarra. Mi accompagna nella visita il cane che vuole giocare, corre avanti e poi torna indietro verso di me.
A un certo punto la strada sterrata si interrompe e inizia una fitta vegetazione che copre tutto, mi giro e la signora da lontano mi fa cenno di proseguire.
Dove? Non si vede nulla! Prendo un bastone, lo picchio per terra per paura di serpenti e mi addentro tenendo sempre di vista la torre. Il cane mi segue sempre, va avanti lui come se sapesse la strada e mi facesse da guida. A un certo punto raggiungo la base della torre, mi arrampico fino alla seconda balza dove c'è una porta che conduce all'interno. Il cane ha fatto il suo lavoro, si sdraia accanto allo zaino con le macchine fotografiche che ho lasciato giù sotto e mi guarda mentre cammino. La porta dà all'interno della torre, buia da non vedere oltre un paio di metri. C'è qualche ragnatela qui e lì, pian piano gli occhi si abituano al buio e vedo delle scritte sui muri. Entro al centro della stanza mentre mi si stringe il culo al pensiero delle bestie più paurose che io conosca, serpenti, ragni, scorpioni, pipistrelli, mancano solo gli squali. Meno male che non ci sono scale per salire, la struttura è chiusa lungo tutta la circonferenza, altrimenti sarei stato costretto a salire.
Torno indietro dalla mia “guida” che mi scondinzola e insieme torniamo alla casa della signora, custode o cosa sia non so. Chiedo se posso entrare a vedere la casa, mi accoglie in un giardino centrale rettangolare di 20x20 metri all'incirca, un arco di pietra al centro fatto da due pilastri verticali e uno orizzontale in cima, simile agli archi all'ingresso dei templi giapponesi. La casa, il solo piano terra rialzato per evitare che entri acqua quando piove, è tutta in legno, buia all'interno con le finestre che danno sul giardino. Mi avvicino alle finestre e vedo delle stanze piccolissime con letti a castello e zanzariere, un materasso che sembra quello per fare ginnastica. All'esterno, sulla balaustra, un catino in ottone con una brocca funge da lavandino: non oso pensare dove sia il cesso.

Saluto e torno in città.
Lungo le mura della porta meridionale c'è un mercato con qualche negozio di antiquariato e i banchi che vendono oggetti di giada, libretti rossi di Mao con la copertina in plastica (mi chiedo se anche l'originale fosse con la copertina in plastica) e monete più o meno antiche.
Contratto per una macchina fotografica tipo Rollei, con tutte le scritte in cinese. Non è funzionante, o meglio, non funzionano i tempi di esposizioen sono tutti uguali nonostante la leva si mobile. Intorno è tutta scrostata, la similpelle si stacca.

“How much?”
Con la calcolatrice in mano mi indica 1.200 yuan.
“120 euro??!!”
La ragazza con cui contratto fa cenno al ragazzo di passarmi la calcolatrice per fare l'offerta.
Scrivo 80 yuan, gliela passo e si mettono a ridere.
Tiro fuori il frasario in cinese e dico
“huai lǝ”, rotto.
Si guardano e mi fanno un'altra offerta, 800 yuan.
Rialzo a 100 e iniziano a parlarsi e a parlarmi in cinese.
“Zai giien”, arrivederci.
Esco e mi richiamano urlando, scendendo a 500 yuan. Inizia un tira e molla in cui esco ed entro nel negozio più volte, ogni volta facendo qualche passo in più per vedere se bluffo oppure non offro di più dei 100 yuan, finché la incartano nel giornale e me la consegnano.
Cosa mi serve una macchina fotografica cinese rotta? A niente.

Risalendo Fuxing Lu dalla porta meridionale, dopo qualche centinaio di metri di negozi e botteghe di oggetti in argento, giada e semi di anguria, qualche libreria di soli libri cinesi, si arriva al Palazzo Wuha, un edificio a tre piani simile a una delle porte di ingresso ma in cima a un basamento di pietra. Tutto intorno una serie di giardini con fiumiciattoli e laghetti, con dei padoglioni sopraelevati dove i cinesei si riposano, mangiano gelati o, semplicemente, parlano tra loro. Una cosa che qui a Dali non manca è l'acqua, ovunque ci sono corsi di acqua, incredibilmente dal colore pulito, che poi sia pulita come lo intendiamo noi è un altro discorso, ma un colore trasparente e non giallo fango è già qualcosa da queste parti.

Poco prima del Palazzo Wuhua c'è il Monumento all'Eroe del Popolo, una piazza ampia e vuota circondata da slogan di propaganda (almeno così penso) che stona a Dali, tutta stradine strette, lastricate e affollata di botteghe, ma soprattutto vuota.
Entro, salgo i gradini dove è issato il pennone con la bandiera cinese e scatto una fotografia. Sento urlare e capisco subito che non si può fotografare il monumento. Un militare corre verso di me, io incredibilmente calmo (tutto l'opposto di quando fermarono me e Michele a Phnom Penh perchè fotografai l'ambasciata americana circondata da filo spinato e ostacoli con tanto di chiodi per terra) gli faccio vedere sullo schermo che la sto cancellando. Mentre mi abbaia in faccia non so perché ma mi viene da ridere. Ormai Cinesizzato, cerco la parola “cancellato” sul frasario ma c'è solo “cancellare”, gliela faccio leggere e noto che sorride. Mi fa cenno verso la base della statua, ci sono due pannelli di bronzo che dal punto in cui siamo mostrano la scritta “NO PHOTO”. Li avevo notati mentre facevo la foto ma, con il sole perfettamente alle spalle, sembravano due specchi e non si vedeva nulla. Ostinato, gli chiedo di venire dove ero prima per fargli vedere che c'è il riflesso del sole, magari avrei anche iniziato una polemica riguardo la necessità di sostituire quelle lastre di bronzo lucide con lastre di pietra. Fortunatamente il militare non si muove, si gira e se ne va.

Nella parte bassa di Bo Hai Lu c'è un murales lungo una trentina di metri che serve a spiegare ai bambini e alla cittadinanza cosa fare in caso di incendio. Deve essere tipico di questi paesi (come ne ho visti in Vietnam, in Corea del Nord, in Birmani) spiegare alla popolazione pitturando sui muri l'argomento che interessa. O almeno così era fino a qualche anno fa in Cina, dove le televisioni non erano così diffuse e non c'era la “ricchezza” di adesso, in quanto i diversi punti i disegni sono scoloriti e rovinati. C'è la mamma che chiama il 119, il numero dei vigili del fuoco, cosa non fare per non causare incendi, scoppiare mortaretti dalla finestra di casa, aggiustare il televisore con la spina attaccata, bagnare le prese della corrente e cosa fare in caso di incendio, abbassare la presa della corrente, bagnare ciò che sta bruciando e, in casi estremi, affacciarsi alla finestra e chiedere aiuto.

Entro in una lavanderia e lascio la felpa Lonsdale che ho portato perchè non si sa mai, mentre la uso tutti i giorni, tranne nelle ore centrali della giornata
Chiedo il servizio “super- express”, quello che in 4 ore ti ridanno tutto lavato e asciugato, la ragazza quasi imbarazzata mi dice che in questo caso devo pagare il doppio, 10 yuan (poco meno di 1 euro) invece che 5 yuan: quasi quasi ci penso...

Torno in hotel a lasciare la macchina fotografica e a bere qualcosa al bar e inizia il diluvio, che per fortuna durerà solo 1 oretta, dopodichè uscirà un bel sole che rende tiepida la giornata, quasi primaverile.
Appena smette di piovere esco subito per strada, non riesco a non godere Dali in ogni sua piccola stradina, non mi stanco mai di girare per le stesse strade, a vedere gli stessi posti.
Accanto alla guesthouse cìè un negozio che vende abbigliamento da montagna, cerco una giacca a vento leggera, impermeabile in quanto il Kee-way che ho portato è di almeno due misure più piccole e ha un effetto sauna dopo pochi passi. Il marchio prestigioso è North Face, qualunque tipo di giacca a non più di 380 yuan, troppi per l'uso che ne farò, sicuramente solo qui in Cina. Trovo una sottomarca cinese “Mountain”, nella cui etichetta c'è scritto che è in Gore-tex, costo 150 yuan. Sembra quasi carina, aderente e non sformata e di qualche taglia più grande come tutti gli abiti cinesi. Vedremo la prima volta in caso di bisogno se si scioglierà come neve al sole.

Un salto alla Bank of China a cambiare dei soldi e capisco tutti i guai della burocrazia cinese. All'ingresso c'è un poliziotto, un impiegato di dirige allo sportello, un altro ti dà la penna per compilare 4 fogli prima di cambiare. Il cambio è lo stesso applicato a Shanghai, 1 euro vale 10,45 yuan più o meno, senza commissioni.



La scelta è dura: mangiare tibetano al ristorante della guesthouse o godermi l'ultima sera a Dali? Mangerò tibetano a Zhongdian, quindi esco di nuovo e cerco un bar diverso dove cenare. Purtroppo la scelta non è perfettamente azzeccata, ogni bar/ ristorante di Dali ha il doppio menu con piatti sia cinesi e tradizionali di Dali e Tibetani sia occidentali. La tentazione di mangiare un bel cheeseburger con le patatine fritte è grande ma non cedo e ordino dei noodle fritti con il manzo e delle fettine di manzo fritte secondo la ricetta tibetana. I noodle sono molto buoni, le fettine di manzo sono presentate con una marea di cipolle e peperoni: buoni questi ultimi, con un retrogusto di vomito il manzo. Mangio cipolle e peperoni, lascio una montagnetta di manzo in un angolo del piatto.

Mi diverto a guardare la gente che passa, per la prima volta vedo una persona di colore, non se ne vedono, né qui né negli altri paesi asiatici che ho visitato. E non parlo di turisti (che comunque ne ho sempre visti pochissimi), ma di neri che vivono in Cina. Ora non voglio dire che questa ragazza vivesse qui, anche se spingeva la carrozzella di un bimbo cinese (sarà la tata di qualche mega- riccone sino- americano), semplicemente mi ha fatto uno strano effetto vedere un nero in Asia. Divagando: come mai non si vedono neri e asiatici con la sindrome di Down? Me lo sono sempre chiesto, una risposta penso di averla, ma ho paura che sia troppo brutta per essere vera.
Passa anche un culattone, un uomo di circa 45-50 anni, capelli nero corvino lisci e lunghi sulle spalle, un incedere sculettando, borsa argento sulla spalla sinistra, camiciola e pantaloni lunghi neri stretti e tirati su bene nelle chiappe, orribili scarpe da donna marrone con un tacco di 4-5 centimetri e un ombrellino rosa. Una checca mostruosa! Anche questa è la Cina che cambia.


Anche questa sera sono l'attrazione della serata, e dire che non ho con me il computer ma il libro di Bettinelli “La Cina in Vespa”. Tutti i cinesi che passano mi guardano, una mi fa una fotografia e mi ringrazia, un altro lo vedo scattare da lontano, una ragazza ben nutrita e un po' brufolosa addirittura mi chiede se si può sedere accanto a me mentre la mamma ci fa una fotografia. A questo punto chiedo di fare una fotografia anche con la mia macchina, oltre che per il ricordo anche perchè, una volta allontanatesi, riguardo la fotografia zoomando sulla mia faccia per vedere se ho qualche sbaffo di dentifricio, mi guardo le scarpe per vedere se sono uscito a piedi nudi. O forse, semplicemente, non è normale per un Cinese mangiare soli, cosa che invece trovo bellissima, non c'è modo migliore per pensare, trovare soluzioni o semplicemente fantasticare che mangiare soli, forse perchè non sono capace di sdraiarmi sul divano e chiudere semplicemente gli occhi, ho bisogno di attività.

Nessun commento: