MOMA

MOMA

venerdì 15 agosto 2008

13.8.08 h 17.10
Nanjing

Nanjing, Nanchino in Italia, significa “Capitale Meridionale” e si contrappone a Beijing, Pechino o “Capitale Settentrionale. Capitale dei vari regni Cinesi e dei ribelli Taiping poi, è ancora considerata la vera capitale dai cinesi di Taiwan.
Città sterminata, enorme, caotica, con un traffico statico, un cantiere unico quasi che la speculazione edilizia e i grattacieli di uffici e appartamenti si sia svegliata da poco tempo.
Delle tre “fornaci della Cina” solo Chongqing per il momento ci ha dato tregua, anche Nanjing non smentisce il suo nome e fiacca ogni slancio sul nascere. Usciamo presto, dopo una colazione abbondante per 30 yuan a testa, con tanto di gnocchi al pomodoro, gnocchi veri, di semola: mah... le stranezze della Cina!

A nord-est della città, pochi chilometri in linea d'aria, un viaggio infinito in taxi in mezzo al traffico, si trova Zijin Shan o Monte d'Oro Purpureo che ospita i maggiori luoghi di interesse di Nanjing: un Palazzo del XIV secolo con pagoda annessa, la tomba del fondatore della dinastia Ming e il Mausoleo di Sun Yat-sen, il fondatore della Cina repubblicana e primo presidente, l'unico eroe riconosciuto tanto dai Comunisti quanto dai Nazionalisti del Kuomintang di Taiwan. Uno splendido paesaggio, in mezzo a montagne coperte di nebbia (tanto che la città a pochi chilometri non si riesce a vedere), sinceramente sprecati gli 80 yuan a testa per accedere al Mausoleo, in cima alla collina dopo una scalinata di marmo lunga 700 metri con 392 scalini, dove c'è una statua dell'eroe e la sua tomba. Un caldo infernale, maglietta e pantaloni intrisi di sudore, meglio non mettere i pantaloncini corti che mostrerebbero il mio tatuaggio sul polpaccio sinistro con la bandiera del Giappone, qui dove nel 1937 sono stati massacrati dall'esercito nipponico oltre trecentomila civili inermi, soprattutto anziani, donne e bambini, in sole sei settimane.

Cerchiamo di arrivare all'altro simbolo della Cina comunista, un vero e proprio orgoglio nazionale del periodo di Mao: il celebre Ponte di Nanjing sul Fiume Yangtze. Un autobus con aria condizionata a temperatura glaciale, che piscia acqua dai bocchettoni e bagna tutto il pavimento, impiega un'ora per attraversare la città e portarci sul fiume, ma ben più a sud di dove si trova il ponte. Cambio di mezzo e un taxi arriva nel parco cui si accede al ponte (7 yuan per il parco, 8 per salire sul ponte). Un ponte che sa di vecchio, orgoglio dei Cinesi perché l'hanno eretto tutto da soli, dopo che i Sovietici si ritirarono dal progetto, in circa 9 anni: “luogo di incontro delle Genti di tutto il Mondo” come recita l'opuscolo, con vari capi di Stato fotografati insieme a Mao, Deng Xiao Ping e altri eminenti politici del Partito Comunista Cinese. Il parco è ospitato tra i pilastri di sostegno della ferrovia che corre trenta metri sopra, un lungo filare di piloni di cemento armato che si perdono nella nebbia. Ogni sponda del fiume ha due torri con una bandiera rossa illuminata in cima, dove si trovano le piattaforme di osservazioen del ponte: peccato che si possa vedere solo il lungo serpentone di automobili che, a passo d'uomo, stanno entrando a Nanjing. effettivamente è un'opera titanica, il fiume in questo tratto è largo oltre un chilometro e mezzo e le acque dello Yangtze, anche se sembrano placide, hanno sempre una forza impressionante.



Ma il vero fiore all'occhiello di Nanjing è il Monumento alla Massacro di Nanchino, situato fuori dalle mura della città, nella zona sud- ovest.
Tra il dicembre del 1937 e il gennaio del 1938, dopo la conquista di Shanghai da parte dell'esercito Giapponese, cadde anche Nanjing e i soldati nipponici si abbandonarono ad atrocità inaudite e senza motivo, che andarono ben oltre la “morale” della guerra, se proprio si vuole trovare una giustificazione e un'etica, una condotta accettabile nella guerra. I soldati Giapponesi uccisero bambini, violentarono in gruppo ragazze, donne adulte e anziane, uccisero donne incinte e squarciarono loro l'addome per togliere il feto dall'utero (con tanto di fotografie), fosse comuni con migliaia se non decine di migliaia di morti. Nonostante i vari tentativi di normalizzazione dei rapporti Sino- Giapponesi da parte dei Presidenti del Partito Comunista di turno, i Cinesi non vedono ancora di buon occhio i cugini con gli occhi a mandorla per il motivo che i Giapponesi ancora non hanno riconosciuto il Massacro, addirittura definendolo un'esagerazione se non una finzione, nonostante le fotografie e le testimonianze rese dei stessi autori del massacro. Ogni tanto esplode l'intolleranza nei confronti dei Giapponesi, come quando l'ex- premier Koizumi si recò nel Tempio Shintoista di Tokyo dove, insieme alle tombe degli eroi del Giappone Antico ci sono anche quelle di qualche gerarca militare della Seconda Guerra Mondiale, responsabile più o meno direttamente del massacro; oppure come quando uscirono dei testi scolastici giapponesi in cui si negava il massacro di Nanchino.

Il Monumento, situato in una zona degradata, tra meccanici e botteghe che lavorano il vetro, baracche e case a un piano fatiscenti e con un odore di urina e sporco per le strade, è un edificio anonimo, basso, grigio scuro, che sembra una scuola e senza nessun cartello a indicarlo. Sorge nel sito dove ritrovarono una fossa comune con sepolti più di diecimila corpi.
La struttura è un misto tra il Mausoleo dell'Olocausto Armeno a Yerevan e il Museo dell'Olocausto degli Ebrei a Berlino, quello progettato da Liebskind.
La piazza centrale, tutta sassolini con una grande rampa a punta che guarda i grattacieli di Nanjing, un muro nero da cui scende un velo di acqua, con scritto in tutte le lingue del mondo “300.000 VITTIME”, nonostante i cartelli che invochino al silenzio e a un comportamento rispettoso c'è un vociare di fondo tipico della Cina e qualche sputo qua e là. L'interno del museo (gratis!) è un escursus fotografico con commenti in cinese, inglese e giapponese, sui fatti che portarono alla guerra sino- giapponese degli anni Trenta, all'invasione di Nanchino, al massacro e al processo, poi, di alcuni dei responsabili
In un altro padiglione, una spianata enorme, ci sono gli scavi con alcuni corpi, ormai ridotti a scheletri, così come furono trovati.
In una sala di passaggio ci sono le corone di bambini giapponesi con i celebri origami a forma di cigno, quasi in disparte come se non fosse sufficiente per riconoscere ciò che è stato compiuto.
Sembra il Monumento all'Olocausto Armeno per via delle forme spigolose degli spazi all'aperto, due piramidi di pietra nera che fanno da ingresso, una costruzione squadrata bassa che ospita il museo, una croce cristiana con scolpita la data di inizio e fine del massacro, come se ci potesse essere una parola “fine” nella memoria dei sopravvissuti. Il ricordo del Museo di Liebskind a Berlino invece è all'interno, ampi spazi bui con piccole luci led e la solita scritta luminosa bianca sul soffitto “300.000 VITTIME” e, al posto dei nomi degli ebrei, la foto delle vittime cinesi del massacro che ogni cinque secondi vengono proiettate sul muro. Un'altra sala “12 SECONDI” ricorda l'angolo con i dischi di ferro sul pavimento del Museo di Berlino, solo che ogni 12 secondi si sente il rumore di una goccia d'acqua che cade e si accende una piccola fotografia sul muro: in 6 settimane verranno ricordati tutti i martiri.
L'atmosfera è sempre la stessa che respiro nei vari luoghi dove si “celebra” la follia dell'Uomo, dove si scende dal genere umano per entrare in un incubo: i campi di concentramento sparsi per l'Europa dell'Est, Tuol Sleng a Phnom Penh con i Killing Fields, il Monumento del Genocidio Armeno a Yerevan, il Giardino della Pace a Hiroshima. I morti sono morti, non importa da che parte stiano, rimane solo un monito affinché la follia non si ripeta. Non so perché sono attratto da questi posti, non è morbosità, non è nemmeno curiosità, forse semplicemente voglia di sapere fino a che punto possiamo spingerci con la crudeltà, andare oltre a un libro letto sull'argomento, vedere le reazioni della gente come me davanti a certi fatti, se anche loro sono colpiti allo stesso modo.

Per cena cerchiamo un posto nella zona centrale di Nanjing, proprio dietro all'hotel, Xinjiekou, il cuore geografico e commerciale della città, con la direttrice nord- sud che è Zhongshan Lu. Uno svavillio di luci di grandi magazzini e grattacieli luminescenti, maxischermi agli angoli degli edifici stanno proiettando la partita delle Olimpiadi Cina-Brasile, immobilizzando lungo la strada tassisti e passanti, tutti con lo sguardo all'insù. Come in tutte le città della Cina finora visitate, non c'è la separazione tra zona commerciale moderna e la città originale, anche qui ci sono le strade principali con negozi e catene di ristoranti, e vie buie con locali adibiti a ristorante, soprattutto di pesce qui a Nanjing.

Nessun commento: