MOMA

MOMA

domenica 3 agosto 2008

02.8.08 h 17.10
Zhongdian.

Fare colazione all'ombra della parete verticale di 5.000 metri della Jade Dragon Snow Mountain è qualcosa che ti farebbe dimenticare qualsiasi schifezza stai per ingoiare. Il sole non è ancora sorto, ci vorranno almeno un paio di ore ancora prima che riesca a sbucare dalla cima della montagna.

Sempre con Rosey, una guida impareggiabile, scendiamo verso lo Yangtze, ci vorranno 40 minuti faticosissimi, altro che il sentiero alto della Gola, una parete verticale in mezzo a campi di mais prima (non un sentiero in mezzo ai campi ma passando tra le piante) e alla foresta poi. Non so se si possa chiamare esperienza o intuito o, semplicemente, bisogna andare sempre giù, ma non riesco a capire come possa sempre trovare il sentiero anche quando questo scompare tra la fitta vegetazione, è interrotto da torrenti e sembra non esserci più. Mi dice che è da tanto tempo che qualcuno non scende al fiume perché la vegetazione è ricresciuta fino a far scomparire il percorso e i ragni hanno ostruito il sentiero con le loro tele.

“RAGNI??!!”

Odio i ragni, mi fanno schifo, ho il terrore e brividi lungo la schiena mi vengono anche solo a guardarli in televisione. Tele enormi sono appese ai bordi del sentiero, ogni tanto qualcuna si para davanti e hai un incontro ravvicinato dell'ennesimo tipo con una bestia con il corpo nero e macchie fosforescenti gialle, verdi e rosse, le zampe lunghe e robuste. Fa caldo, sono sudato ma ho freddo, continuo a sputare come se queste bestie schifose mi entrassero dentro, continuo a sentirmi addosso i fili appiccicosi, sembro in preda a una crisi epilettica e, schizofrenicamente, continuo a battermi le mani sugli avambracci scoperti, il collo, la faccia, a gesticolare come un pazzo e a parlare da solo, imprecando e dicendo cose senza senso. La voglia di tornare indietro è tanta ma faccio un metro alla volta dicendo che è l'ultimo. Rosey prende un bastone e rompe le tele per ricreare il passaggio, ormai sono scosso da brividi.

Arriviamo finalmente in fondo a questo Inferno, al fiume che, giallo caffèlatte, scorre finalmente a un metro da me. Sembra di essere al mare, per avvicinarsi, ma non troppo perché la corrente ha una forza incredibile, bisogna passare sui massi precipitati per qualche frana. Poco più in là una frana ha ristretto e alzato il livello del fiume tanto che l'acqua si infrange sulle rocce ribollendo come lava, l'acqua sembra pesante, quasi solida.

La via per risalire è massacrante, forse peggio delle “33 pieghe” dalla Gola, fa rompere le gambe oltre che il fiato, meno male che non ci sono più tele di ragno davanti, ma solo minacciosamente ai lati.

Una breve sosta alla guesthouse e poi si parte per Zhongdian.
Percorriamo la “strada bassa”, 23 chilometri fino a Quiaotou. Se il percorso alto è il più faticoso da percorrere a piedi, sebbene assolutamente non pericoloso, la strada bassa sarebbe da vietare alle auto: strapiombi di centinaia di metri solo in qualche punto protetti da paracarri alti una trentina di centimetri (dove probabilmente qualche macchina è scomparsa nella gola), curve cieche che qualunque automezzo percorre alla maniera cinese, al centro della strada, sorpassi sull'orlo del precipizio con la mano attaccata al clacson.

Il primo pezzo fino alla piazzola di osservazione è uno sterrato invaso da sassi che continuano a franare dalla montagna, il torrente che avevamo trovato lungo il sentiero alto lo rincontriamo qui, senza un ponte, semplicemente lo attraversiamo con l'acqua che ci passa sopra, dopo aver chiuso i finestrini. Secondo me il primo tratto è assolutamente da percorrere a piedi, non immaginavo che potesse essere altrettanto bello. Se dall'alto ti colpiscono i precipizi a migliaia di metri di altezza, il rimbombo del fiume forte e incessante nonostante la distanza e la difficoltà del cammino, è solo dalla strada bassa che si comprende in pieno la maestosità della Gola, sei vicino al fiume e le pareti della montagna di fronte le riconosci in ogni singolo dettaglio.
In un punto la Jade Dragon Snow Mountain è franata da chissà quante centinaia di anni perché, i sassi che escono dal fiume sono tutti ricoperti di erba e piante, per diverse decine di metri. Questa è l'unica macchia di verde che si vede guardando la parete sud della gola, sopra ricomincia il bianco della montagna dove si è staccata la frana, lucido e liscio come marmo, sotto il fiume con il suo inconfondibile colore.

Il minivan guidato da Rosey (sarà anche una brava guida ma è meglio a piedi, guida in maniera terrificante, tra brusche inchiodate e marce fuorigiri) costeggia pericolosamente lo strapiombo.
Arriviamo alla piazzola di sosta dei pulmann turistici, decine e decine di autobus tanto di linea quanto organizzati, fuoristrada o macchina normali, vomitano migliaia di Cinese con videocamere e macchina fotografiche che riprendono la parte meno interessante, quella a monte della Gola Intermedia, dove lo Yangtze scorre ancora lento, largo e tra pareti di roccia distanti le une dalle altre. Ma il must, il vero segno di riconoscimento del cinese han è il fuoristrada con i vetri oscurati: ma cosa cazzo ci siete venuti a fare per guardare questo ben di Dio dietro dei vetri oscurati?

La strada diventa impeccabile, asfaltata con tanto di paracarro ai bordi fino alla fine della gola, con un ristorante e un'agghiacciante tigre di pietra colorata che guarda il fiume dalla terrazza.

Imbocchiamo la strada che da Quiaotou arriverà fino in Tibet, il paesaggio cambia. Dopo una prima serie di montagne alte inframezzate da gole, saliamo una serie di tornanti e ci troviamo su un altopiano, distese verdi a perdita d'occhio circondate da montagne. Costruzioni in legno e tutti vestiti con gli abiti tradizionali e un copricapo rosso. Intanto la temperatura si abbassa, ci saranno non più di 10 gradi e maledico il fatto che non ho messo i pantaloni e la felpa, i finestrini davanti sono abbassati con il riscaldamento acceso. Valli a capire!

A due ore di auto da Quiaotou i cartelli, che prima erano tutti in cinese, iniziano a diventare bilingue e capisco di essere arrivato a Zhongdian quando vedo le prime pubblicità, enormi in cima a pali, di Shangri- La.
Rosey cede la guida al fidanzato e mi viene il sospetto che non abbia la patente, dal momento che succede poco prima di un posto di polizia.



Zhongdian, , la Shangri-La descritta da James Hilton nel romanzo “Paradino Perduto” nei primi del Novecento.
Shangri-La è sinonimo di Paradiso Terrestre, Giardino dell'Eden, Terra Felice, Utopia e, in lingua Tibetana significa “Il Sole e la Luna nel proprio cuore”. Nel 1990, a seguito di studi comparativi con i testi sacri buddhisti, è stato scoperto che questo territorio corrispondeva al Regno di Shangri-La ivi descritto. Trionfalmente,
“Alle 21.30 del 4 settembre 1997, la Provincia dello Yunnan tenne un conferenza stampa in Zhongdian per annunciare ufficialmente al mondo che Shangri-La è localizzato a Diqing (il nome di questa Provincia). Questa notizia esplosiva scioccò il mondo immediatamente”.

Mi lasciano nella strada principale, mi aiutano a prendere un taxi che per 6 yuan mi porta al Pacific Rim Hotel. La donne che guida il taxi mi lascia un 200 metri dalla strada principale, in una zona tutta in costruzione: dopo che il Governo centrale ha riconosciuto questa città e tutta la zona come l'originale Shangri- La (con un'astuta operazione di marketing) stanno sorgendo grandi hotel, c'è persino un campo da golf, sebbene di turisti occidentali nemmeno l'ombra.
Entro in un edificio che sembra chiuso, accanto a un KTV, la catena di Karaoke presente in qualunque città, presento la prenotazione a una donna assonnata in un ristorante con l'odore di muffa burro rancido tipico del Tibet. Mi fa cenno con la mano che l'ingresso dell'hotel è poco più a sinistra e mi risollevo percorrendo un lungo corridoio buio, con pavimento in marmo e delle fotografie della zona appese alle pareti. La hall è enorme, il solito immancabile tabellone del mondo con i vari fusi orari (tipico di tutti gli hotel di un certo rilievo in Asia) dietro la reception, compilo una serie di documenti, lascio una caparra di 100 yuan come si fa in tutti gli hotel cinesi in caso di danneggiamento dell'arredamento (ma i Cinesi sono così animali in vacanza?) e salgo in camera. Bella, grande per non dire enorme ma che riesco sempre a riempire sparpagliando ogni volta il contenuto degli zaini per la stanza.

Esco per dirigermi verso il centro del paese e noto qualcosa di strano, l'aria è leggera, ho inspiegabilmente il fiatone e inizia un leggero mal di testa e mi viene in mente che siamo a 3.300 metri di altezza.
Il paese di Zhongdian in sé anche carino è stato completamente snaturato, e continua a esserlo, dagli Han che, dopo aver istituzionalizzato la zona come Shangri- La, stanno trasformando la zona in una sorta di Disneyland, come è successo con Lijiang. Ovunque lungo le strade che intersecano la dorsale nord- sud, Changzeng Lu o Strada della Lunga Marcia, cantieri che stanno costruendo alberghi. Avevo notato all'ingresso della città un struttura gonfiabile enorme ad arco davanti all'ingresso di un grande magazzino, tipo quella dei giochi dei bambini, pensavo fosse un evento promozionale e invece la ritrovo all'ingresso di una strata, davanti a un grande albergo, deve essere la “novità” di Zhongdian.
Che la città abbia qualcosa di diverso lo si capisce anche dai primi SUV che vedo da quando sono arrivato nello Yunnan 8 giorni fa, Audi Q7, BMW X5, Volkswagen Touareg, oltre a innumeravoli fuoristrada Toyota Prado. Mancano solo Defender, Free Lander e Range Rover.

E' un paradosso e una piacevole coincidenza che in questo viaggio lungo il fiume Yangtze, adesso che sono a Zhongdian sono più vicino al Mekong che al “Fiume Azzurro”, il Mekong che tanto ha colpito la mia immaginazione nel primo viaggio a Oriente, Cambogia e Vietnam. Questa zona è chiamata la Culla dei Tre Fiumi perché, a poche decine di chilometri l'uno dall'altro scendono paralleli lo Yangtze a est, il Mekong al centro e il Sulween, uno Cinese, uno Indocinese e uno Birmano.
Una città anonima se non fosse per un palazzone rosso, enorme a ovest, oltre un laghetto con tanto di passerelle e gazebo in legno sospesi, due fenici o cicogne in metallo al centro: ricorda vagamente il Potala di Lhasa se non fosse che quest'ultimo è bianco e non rosso, forse non c'entra nulla ma sono quelle associazioni di pensiero che nascono da sole. Entro in un negozio per comprare una biro, una “cartoleria” lunga e stretta, illuminata dalla sola luce del sole all'ingresso e buia sul fondo, faccio un giro e quando esco mi trovo scarafaggi ovunque, ne tolgo almeno una decina sulle maniche della felpa, sullo zaino, sui pantaloni. Oddio!

Trovo, finalmente, il primo Internet Cafè da due giorni a questa parte, ormai ero in crisi di astinenza, il Traveller Pub dell'Ostello della Gioventù, mangio qualcosa e bevo una birra.

Basta attraversare la strada del Traveller Pub e si entra nella vecchia Shangri- La, l'originaria Zhongdian, tibetana fino al midollo. Case basse di legno, decoratissime con le bandierine colorate tese da una facciata all'altra. Anche qui sembra di essere a Lijiang, una sfilza innumerevole di negozi di anticaglia tibetana più o meno originale, coltelli, oggetti sacri. E una serie infinita di guesthouse, ristoranti “Lha Sa”, negozi di CD e libri sul Tibet. La Piazza del Mercato, carina, raccolta e con un non so che di misterioso, le bancarelle di cibo con le griglie a carbone che preparano spiedini di yak alla piastra si stanno spostando nelle strade, per lasciare spazio a uno spettacolo per turisti.
Da una serie di altoparlanti distribuiti su tutta la piazza esce una musica techno- melodico- tradizionale a volume fortissimo, mentre delle persone, maschie e femmine in abiti tradizionali tibetani, si dispongono in circolo per eseguire un ballo di gruppo come quello che si vede sulle spiagge a Riccione o a Rimini. Qualche turista si aggiunge sorridendo al fidanzato o alla moglie di turno per essere immortalato.
Come sempre, basta uscire di qualche metro dalle zone più turistiche ed ecco che si trova l'originale, non cambia granché l'aspetto delle strade ma c'è un silenzio interrotto solamente dai rumori del lavoro, il friggere nelle pentole, il martello che picchietta su una lastra di metallo.
Quasi per caso trovo un negozio di formaggi tibetani, abbastanza chic e infatti vuoto, quattro tavolini per otto posti a sedere con una selezione di vini. Provo un piatto misto di formaggi preparati con latte di yak ma modificati per ottenere un gusto più delicato, simile all'Asiago come mi spiega la ragazza tibetana (30 yuan).
Prendo un taxi per tornare in hotel, del resto non è proprio dietro l'angolo, questa volta ho toppato la prenotazione, per quanto l'albergo sia molto bello è scomodo e lontano (15 minuti a piedi dalla città vecchia). Fa freddo, ci saranno al massimo 10-15 gradi, tant'è che la felpa e la giacca a vento sono indispensabili, anche solo per nascondere le mani dal vento gelido che arriva dal Tibet.

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