MOMA

MOMA

sabato 2 agosto 2008

01.8.08 h 17.50
Bosco delle Noci, Gola del Balzo della Tigre.

Una notte con continui risvegli,sarà la paura di non farsi trovare pronto alle 6.00 per l'escursione nella Gola, sarà la pioggia che incessantemente scende dalle 9 di sera e che rimbomba nella stanza, avendo lasciato le finestre aperte per togliere l'afa.
“With or without you” che ho sul cellulare mi sveglia alle 5.30, anche se era almeno una buona mezz'ora che continuavo a cadere in un sonno leggero. Mi preparo e scendo alle 6.00 nella hall, con la torcia elettrica che mi sono portato dietro, buia come solo nei villaggi senza luce nelle strade può essere, non un'anima viva. Di Rosey nemmeno l'ombra, non posso uscire in strada ad attendere perché la porta di ingresso è chiusa da un lucchetto, quindi non mi resta che risalire in camera per non apparire come un ladro in cerca dell'argenteria che qua non hanno mai visto, attendendo alla finestra il comparire della luce dei fari del minivan.
Alla fine Rosey arriva con il fidanzato, mi fa cenno di svegliare la custode, la stessa donna che non dice una parola di Inglese, che esce da una stanza dietro alla reception con il pigiama e i capelli che sembra una strega.

La prima cosa che le chiedo, quasi senza darle il buon giorno, è se possiamo andare nella gola per il sentiero alto, dal momento che piove come Dio la manda. Una telefonata al padre e la risposta che non avrei mai voluto sentire:
“Too dangerous,high path slippery and rockslides”, è troppo pericoloso, il sentiero alto è troppo scivoloso e ci sono le frane. Accetto con un peso sul cuore perché ci tenevo proprio a percorrere questa gola non per la strada bassa, asfaltata e zeppa di autobus turistici, ma per il sentiero alto che dai 1.648 metri sul livello del mare di Quiaotou arriva a 2.660 dopo una ripida salita.
Intanto mi fa salire sul minibus il quale parte, gira l'angolo e spegne il motore accanto a tre Cinesi che stanno fumando e parlando tra loro, seduti sugli scalini di una bottega, ancora assonnati e in attesa di non si sa che cosa. Il fidanzato abbassa l'aletta parasole del passeggero, che ha magicamente nascosto uno schermo LCD da 9 pollici e inserisce un DVD con un film storico in Cinese.
Dopo una ventina di minuti smette di piovere, altra telefonata di Rosey al padre dopo la quale si gira verso di me, ormai rassegnato ad arrivare in un batter d'occhio alla guesthouse nel Bosco delle Noci, in fondo alla gola, invece che sudarmela poco alla volta, e mi dice che si può percorrere la strada alta.
Quello che si vede in questi 23 chilometri è incredibile.

L'ingresso alla gola costeggia un affluente dello Yangtze, che in questo tratto prende il nome di Jin Sha Jiang (solo a Yibin, poco prima delle Tre Gole prenderà il nome di Yangtze), su cui nasce Quiaotou. Costeggiamo il fiume per una buona decina di minuti, un casermone che non capisco cosa sia, un ufficio statale, un'industria, una scuola, giace abbandonato sulla rive del fiume. La prima parte è abbastanza tranquilla, si passa nel cortile di una scuola per poi imboccare un sentiero sterrato che si inerpica per il fianco della montagna. Finalmente arriviamo all'inizio della gola, dove affluente di confluisce nello Yangtze formando una ypsilon. La fotografia che compare davanti agli occhi è impressionante, lo Yangtze si restringe passando tra due catene montuose altissime e, da placido, calmo all'apparenza e silenzioso come è fino all'ingresso della Gola, diventa velocissimo, burrascoso e ribollente come caffèlatte. Non si vede la fine della gola, solo le montagne contrapposte che si intersecano tra loro come in una treccia, facendo scomparire il fiume, la foschia e le nuvole basse rendono senza fine la camminata. Siamo in anticipo sulla media, cosa che riusciremo a mantenere per tutta la camminata anche se l'ultima mezz'ora prima di arrivare alla guesthouse di una famiglia Naxi è un tormento, una strada sconnessa e ripida che taglia il fiato. Nella casa tutta il legno, con un cortile centrale, facciamo colazione, riso fritto con maiale per lei, “pamcake” al cioccolato per me, una sfoglia di farina a metà strada tra una piadina e una pizza, coperta da un sottile strato di cioccolato che non ha il sapore di cioccolato perché non sa di nulla. Dopo una mezz'ora ci rimettiamo in cammino per intraprendere il tratto più massacrante, le “24 curve” (o 28 come riportano altre guide, 33 come conto io), un sentiero che sale fino a 2.660 metri nel giro di pochi chilometri, 24 curve perché il sentiero diventa roccioso e in piedi come su una scale, un continuo cambiare direzione con curve strette a 180 gradi. Nonostante non siano appena le 9 del mattino, il cielo nuvoloso e comunque il sole ancora coperto dalle montagne, sudo come se fossi in una sauna, il cuore in gola con un ritmo funky, il respiro che non accumula abbastanza ossigeno da permettere di capire. Ogni 2 minuti di salita ne faccio uno di fermata, è l'unico modo per godersi la camminata, con Rosey che mi dice che stiamo andando bene, sempre in anticipo sui tempi. Lei che ha stabilito il suo record di traversata in 6 ore, lei che mentre saliamo parla al cellulare senza il minimo cenno di affanno mentre io non riesco ad alzare la testa dalla strada.
L'unico modo per distrarsi è contare le curve, dovrebbero essere 24 ma, proprio alla ventiquattresima, mi dice “Just a few bends”, ne mancano ancora poche!
Giriamo l'ultima curva, la trentatreesima (gli anni di Cristo, proprio oggi che è il mio compleanno) e vedo il più bello spettacolo che si possa vedere, non il fiume Yangtze che scorre mille metri a strapiombo sotto di noi, ma un gruppo di case basse, le pareti di grossi sassi tenuti insieme non si sa da che cosa, costruzioni che emergono dai fianchi della montagna circondata dalle nuvole. Il nostro porto di mare, la “Tea Horse guesthouse” dove ci fermeremo a tirare (io) il fiato. Il paesaggio che si vede in questo secondo tratto, tra la famiglia Naxi e la Tea Horse Guesthouse è incredibile, la Gola Superiore, che già mi sembra stretta, chiusa dalla catena delle Montagne Haba a nord e dalle Montagne Innevate del Drago di Giada a sud, uno strapiombo di un migliaio di metri, a precipizio sulla destra con un sentiero di una sessantina di centimetri, roccioso e, fortunatamente, che si va asciugando. Nonostante il fiume sia lontano giù sotto, si sente un fragore, un boato incessante che talvolta alzo gli occhi al cielo per vedere se si stia avvicinando un temporale. Io soffro di vertigini ma la vista è talmente incredibile che non me ne rendo conto, un po' come salire su un aereo e guardare dal finestrino, impossibile avere le vertigini perché sei talmente in alto che non ti rendi conto della distanza. Si vede in lontananza il parcheggio dei pulmann con la piazzola di osservazione e un masso che spunta dal fiume schiumoso e ribollente, roccia dalla qualce nasce il nome della gola. Si racconta che una tigre, per scappare da un cacciatore sia saltata da questa dal una parte all'altra della gola, qui molto stretta, saltando su questa roccia. E intanto la gola diventa sempre più stretta, fino a raggiungere una decina di metri nella Gola Intermedia, con pareti alte un centinaio di metri che si fronteggiano da vicino. Le nuvole si stanno alzando e lasciano scoperte le decine di vette delle Montagne Innevate del Drago di Giada, affilate come se fossero il seghetto di un coltello o la fila di denti di uno squalo.



Giusto il tempo di bere un the con il latte bollente e che non accenna a raffreddarsi e ci rimettiamo in cammino in quella che è la parte più affascinante della Gola del Balzo della Tigre, fino al nuovo ponte dove il sentiero alto si unisce alla strada bassa carrozzabile. Si attraversano villaggi con enormi distese di granoturco e girasoli a picco sulla gola, cavalli, muli e capre lasciate libere di girare per la montagna, alcune bestie in bilico sul precipizio, altre che riposano lungo il sentiero, già stretto, e che non accennano a lasciare il passo; boschi di pini così fitti che non passa la luce del sole, tanto che sembra di essere in Trentino invece che in Cina; ogni tanto un crepaccio si apre davanti a noi e un ponte in cemento, che lo attraversa a un'altezza vertiginosa,con una ringhiera alta una decina di centimetri a proteggere nulla.

Arriviamo alla guesthouse di “Mezza Strada”, Half Way, la più importante nella gola in quanto si trova più o meno a pari distanza tra il paese di Quiaotou e Daju, a valle della gola. Che in questa zona abbiano saputo sfruttare in pieno la bellezza della Natura è testimoniato dal questa pensione, il solito cortile interno circondato su quattro lati da una casa in legno a due piani, come le nostre cascine, con una magnifica terrazza panoramica a strapiombo sul fiume. C'è un solo ospite, un ragazzo Americano di Boston che da un anno e mezzo insegna inglese a Shanghai e che è qui in vacanza. Mangio un “Garlic Pancake”, la solita pasta di grano con olio e aglio tagliato a rotelline, pestifero come non mai che non mangio ma serve solo a insaporire questa bontà.
Dopo la pensione la strada, prima non segnalata e la cui individuazione è basata sull'esperienza della gente del luogo o di chi ha voglia di cercare i segnali di vernice sparsi qua e là (più là) sulle rocce, diventa facile da seguire perchè è costeggiata da una conduttura dell'acqua, ma non costeggiata ai bordi ma la tubatura fa zig zag lungo il sentiero già stretto, tanto che bisogna ogni pochi metri scavalcarla.
La strada è tagliata nella roccia, pareti verticali alte centinaia di metri con un solco che sparisce dietro le innumerevoli curve.
Alcuni torrenti sono marroni, scendono dalle montagne già torbidi, la terra in questa zona sembra quella dei campi da tennis, rosso scuro. Ad un certo punto, visto dall'alto, lo Yangtze sembra finire, le pareti delle montagne si avvicina a tal punto che sembrano unirsi, bloccare il corso del fiume che riprende a scorrere dopo qualche metro.

Il rimbombo del fiume sottostante è impressionante, in alcuni punti alzo lo sguardo al cielo per vedere se sono tuoni tanto sembra vicino. E ancora più strano è l'effetto acustico delle rocce che ogni tanto sono sul bordo del sentiero, in bilico sul precipizio: passando accanto alle rocce scompare la voce dello Yangtze, come se avessero chiuso i rubinetti, per ricomparire rombanti quanto se non più di prima appena si supera la roccia.

Arriviamo alla parte più impressionante, una cascata che sgorga dalla cima della montagna e scende a precipizio qualche migliaio di metri più sotto. Vista da lontano sembra una ferita nella roccia che scende uniforme finché incontra il sentiero per poi dividersi in piccoli rivoli che colano lungo il fianco della montagna. La attraversiamo pian piano, facendo attenzione a dove mettiamo i piedi perché le rocce sono scivolose e tutt'altro che stabili, con il precipizio a pochi centimetri alla nostra destra. L'acqua ti rimbalza in faccia, fresca e pulita come solo le sorgenti di alta montagna possono essere.

Lungo il sentiero, dopo la cascata, c'è un piccolo monastero tibetano, costruito nella roccia, in pietra i cui unici punti di colore sono la porta e il tetto rosso Cina e le centinaia di bandierine colorate che dal sentiero risalgono per unirsi al tetto. E' chiuso e abbandonato, non c'è nemmeno un monaco.

Se il primo pezzo, quello fino in cima alla montagna è in grado di tagliare il fiato anche a un maratoneta, il tratto finale dal monastero distrugge le gambe, una discesa di quaranta minuti in mezzo al bosco, passando per campi coltivati a mais, quaranta minuti come camminare in discesa sugli scogli. La forza di gravità ti spinge in basso, i muscoli si tendo mentre le gambe cercano di puntarsi sui bordi delle rocce, facendo attenzione a non scivolare e nello stesso tempo lasciarsi trasportare dal peso, per evitare di affaticare troppo le gambe.

Dopo 8 ore e mezza precise, alle 15.10, lasciamo il sentiero alto per unirci alla strada bassa, percorsa dalle auto e dai pulmann turistici. La gola non è ancora finita, ci sarebbero ancora 2 ore di cammino lungo la strada asfaltata prima di raggiungere il ferry- boat che attraversa lo Yangtze fino al paese di Daju, a poche centinaia di metri di distanza, cove finisce la gola.

Pensi che lo spettacolo sia finito e invece, alla fine del sentiero, dopo la guesthouse Tina, un ponte, costruito da pochi anni, scavalca un crepaccio largo una cinquantina di metri con un torrente che scorre almeno cento metri al di sotto.

La guesthouse di Sean ha una vista impareggiabile della parete verticale della Jade Dragon Snow Mountain, almeno duemila metri, se non di più di fianco della montagna perfettamente perpendicolare al corso dello Yangtze,
“nessuno l'ha mai scalata” dice Rosey e non mi sforzo a crederci, è impressionante, maestosa, liscia come marmo tanto che si differenzia dalle montagne vicine perché è l'unica con qualche cespuglio verde e non la vegetazione lussureggiante delle altre. Che gli affari gli vadano bene, anche perché è l'unica pensione di tutta la gola con un sito web molto dettagliato e in lingua inglese (sebbene pieno di errori), lo dimostrano i lavori di ampliamento. Alle due costruzioni iniziali, proprio di fronte alla montagna, ha aggiunto una zona nel retro con camere tutte in legno, in puro stile tibetano, ognuna con il suo bagno e “acqua calda 25 ore al giorno!”, ed è in costruzione una nuova ala con una nuova cucina.
Pian piano arrivano altri escursionisti, due ragazzi francesi un po' ricchioni, un ragazzo che “abita a Manhattan”, una coppia inglese adulta di Londra con il loro accompagnatore, un australiano di una cinquantina di anni abbondanti che vive a 100 chilometri da Bangkok e che, se non ho capito male, conosce la Cina come le sue tasche e sfrutta la situazione facendo da guida.
Parliamo del più e del meno, davanti a una birra che dopo la fatica di oggi non è mai stata così buona, anche se sgasata, c'è anche Sean che ci racconta come il fratello era un monaco tibetano (sono di etnia tibetana) di Zhongdian che è “sparito” misteriosamente dopo una retata della polizia Cinese del monastero.
Cena abbondante, patatine fritte speziate “Sean's specialty”, pancake con formaggio di yak, pizza con il prosciutto (un pancake con pomodoro, formaggio e pezzi di maiale) e uova fritte con i pomodori.

Parliamo del più e del meno, Peter, l'Australiano che fa da tour leader per la coppia inglese, rivela che è un oncologo che dal 1990,a seguito di una crisi di coscienza, si è trasferito in Thailandia dove organizza viaggi ed escursioni in tutto il Sud- Est Asiatico, dalla Cina alla Malesia, Penisola Indocinese compresa.

Arriva un'altra torta, sempre la stessa, panna montata colorata su uno strato di morbidissimo pan di spagna alto come un mattone, che dividiamo tutti insieme.

Nessun commento: