MOMA

MOMA

lunedì 11 agosto 2008

11.8.08 h 21.50
Wuhan.



Ultimo giornata di discesa del fiume con tappa a Sandouping, il sito dove è stata costruita la mastodontica Diga sul Fiume Yangtze. Dire mastodontica è poco, immaginate sbarrare a metà corso il terzo fiume più lungo del mondo, con una portata tale per cui riesce a percorrere ancora oltre duemila chilometri con un dislivello di soli quattrocento metri.

Che la riserva d'acqua creata dalla diga creerà problemi ce ne accorgiamo subito la mattina quando, affacciati dal balcone della cabina, a mala pena riusciamo a vedere l'altra parte della riva a causa della fitta nebbia che si vede salire dall'acqua.

Trovare la diga è semplicissimo, è talmente grande che di giorno sfila come un serpente grigio davanti agli occhi, basta guardare il senso della corrente che da qualche parte il tuo sguardo la trova, di notte è illuminata come un albero di Natale coricato, tutta gialla con quattro puntini rossi che sono le ciclopiche gru ancora installate per terminare gli ultimi lavori. Altrettanto non si può dire per vederla da vicino. Prima di tutto bisogna risalire a piedi quasi 250 scalini che dal livello del fiume portano alla strada, le funicolari meccanizzate sono “ferme per revisione a causa dei Giochi Olimpici”. Prima di tutto mi devono spiegare il nesso logico tra revisione e Giochi Olimpici, che tra le altre cose si tengono a un paio di ore di aereo da qui; secondo mi sembra che i Giochi Olimpici stiano diventando un alibi per qualunque decisione passi per la testa dei governanti di Pechino: la repressione in Tibet e in Xingjiang, la chiusura delle frontiere con lo stesso Tibet, il fatto che non possiamo attraversare la Diga fino a Yichang ma ci fermiamo prima, e tanti altri piccoli episodi.

In cima ai 250 scalini ci aspettano gli autobus che, dopo mezz'ora a passo sostenuto, girando attorno alla diga e passando sul “Golden Gate” Cinese (un ponte replica del be più famoso che domina la Baia di San Francisco, solo bianco e arancione), arriviamo all'ingresso del Three Gorges Project, dove ci aspetta un check- in e controlli come in aereoporto: bagagli passati ai raggi X (poveri i miei rullini delle macchine fotografiche, sono stati cotti dai continui passaggi in forni cinesi “film safe”, alla stazione degli autobus, dei treni, all'imbarco dei traghetti, ovunque i Cinesi stanno vivendo la situazione attuale peggio di come mi è sembrato a New York, dove forse avrebbero qualche motivo in più), controlli personali, autobus setacciati con dispositivi che cercano esplosivo. Risaliamo sull'autobus e altri cinque minuti portano al punto più vicino alla diga, un centinaio di metri, in quanto è assolutamente vietato avvicinarsi oltre per non dire attraversarla a piedi, sia perché la sommità non è terminata, sia perché la Diga è diventata il primo obiettivo sensibile in caso di attacco terroristico o di guerra e, come tale, è protetto più di un'installazione militare, con tanto di missili antiaerei. La diga è enorme e fa impressione, soprattutto, il dislivello delle acque che si può apprezzare da questa prospettiva, almeno centocinquanta metri di differenza tra le acque a monte e a valle, una bomba a orologeria che si spera non debba mai esplodere, altrimenti altro che Diga del Vajont, quella in confronto sembrerà una doccia (con tutto il rispetto per le migliaia di morti), qui si parla di inondare e devastare un'area che arriva fino a Shanghai, abitata da qualche centinaia di milioni di persone.
Al centro della diga decine di getti di acqua marrone, lunghi dieci, venti, cinquanta metri, alti altrettanto, di una forza impressionante, sono sparati dalla sola pressione della massa d'acqua a monte nel prosieguo del corso dello Yangtze, con un boato che ricorda quello della Gola del Balzo della Tigre.

Si sale poi sul punto più alto della zona da cui si ha una visione d'insieme del Progetto, dalla costruzione degli argini e la sistemazione delle banchine attorno al reservoir, alla diga e al mastodontico sistema di chiuse a 5 livelli successivi che permettono a navi fino a diecimila tonnellate di passare in poco più di un'ora. Piano piano si capisce l'orgoglio dei Cinesi nella costruzione della diga, un'opera... da Cinesi, al pari della Grande Muraglia o del Grande Canale tra lo Yangtze e il Fiume Giallo.

Ritorniamo alla barca alle 11, giusto in tempo per il pranzo prima di disimbarcare, rifare i 250 scalini e ritornare sul pulmann dove, con armi e bagagli, ci trasferiranno a Yichang.
Salutiamo i compagni di tavolo, tutti Francesi di mezz'età tra cui, scopriremo c'era seduto un campione di tennis di almeno quarant'anni fa, tale Pierre Darmon con la moglie, vittoriosa al Rolando Garros in epoca imprecisata (andro su Wikipedia per informarmi), insomma eravamo al tavolo con dei VIP e non ce ne siamo accorti.

Il trasferimento a Yichang dura un'ora, una bella autostrada costruita nei primi anni '90 per creare una via di trasporto per i camion che avrebbero costruito la Diga, dove poi prendiamo un altro autobus che ci porterà a Wuhan, la “fornace della Cina” insieme a Chongqing e Nanjing, “le estati sono talmente roventi che si scioglie l'asfalto per strada”. Alla stazione degli autobus abbiamo come il sentore che questa volta ci hanno fregato, nella piazzola antistante la biglietteria veniamo avvicinati da una donna che ci presenta 2 biglietti per Wuhan (anche sui tagliandini zeppi di ideogrammi avrebbe potuto esserci scritto anche Napoli o il conto del ristorante) per il costo di 100 yuan a biglietto, leggermente più caro dei 70-90 yuan spesi sin'ora per viaggio di lughezza simile, come se avesse arrotondato in alto vedendoci in faccia. La guida (maledetta Rough Gide) riporta che partono autobus per Wuhan ogni cinque minuti, noi dobbiamo attendere dalle 13.45 alle 15.15 in attesa che il pulmann, con sedili in pelle e cestini pieni di acqua disseminati ovunque, si riempia. Un viaggio da incubo, sicuramente il peggiore da quando ci muoviamo via terra, infinito, l'aria condizionata accesa e spenta a ripetizione per un tentativo di risparmiare sul carburante (fa niente se nell'ora e mezza di attesa a Yichang il pulmann sia rimasto acceso costantemente con l'aria condizionata), freddo fastidioso o caldo appiccicoso alternati per quattro ore; l'autista che fuma come un Cinese e spegne le sigarette in un secchio di acqua pieno di pattumiera e moccini; andatura oscillante tra i novanta chilometri orari e i settanta, quando dopo tirate di qualche minuto veniva inserita la folle, sempre in un'ottica di risparmio. Mai una sosta in un distributore SINOPEC è stata tanto attesa, anche pisciare in un cesso saturo di vapori di ammoniaca, acido urico e fumo di sigaretta.
Sullo schermo sono proiettati i rapida successione una commedia con i Giapponesi nella parte degli invasori spietati e maldestri, che vengono sconfitti dall'astuzia di vecchi e bambini, e un dramma in cui sempre i Giapponesi hanno un ruolo secondario ma, naturalmente, negativo. Per il resto del viaggio un alternarsi di canzoni melodiche alla Al Bano e techno inizi anni novanta, sparate a tutto volume.

Il pulmann ci lascia praticamente alla periferia di Wuhan, appena fuori dall'autostrada, quando l'autista urla qualcosa verso i passeggeri e li obbliga a scendere. Una buona mezz'ora di taxi (mai spesi 26 yuan in taxi) ci porta nel distretto di Hankou, uno dei tre che formano Wuhan, la zona vecchia, delle Concessioni Internazionali, al pari di Shanghai tanto che ha il proprio “Bund”, o lungofiume.

Wuhan, acronimo che riunisce nel proprio nome i distretti più importanti, Wuchang, Hankou e Hanyang, formati dai due fiumi Yangtze e Han, è una città strana, molto estesa, ogni distretto ha un proprio centro, tutto grattacieli ni nuova costruzione e shopping mall sfavillanti di luci. C'è subito una grandissima differenza tra il distretto di Hanyang, dove ci lascia l'autobus, e quello di Hankou, dove c'è il nostro hotel: il distretto di Hanyang presenta strade larghe, piene di negozi nuovi e hotel- grattacielo, strade sopraelevate e architettura contemporanea molto pratica, senza guardare troppo all'estetica ma alla funzinalità; il distretto di Hankou, un sacco di grattacieli in costruzione, scheletri neri e poco illuminati nella notte, è il solito dedalo di viuzze sporche, strette e buie tipico delle città Cinesi, con qualche innesto di modernità qua e là con un grande magazzino o un hotel acciaio e cristallo.

L'hotel Jianghan è un quatto stelle che, quasi come quello di Leshan, ha visto tempi migliori anche se la hall è veramente lussuosa: peccato per i corridoi con la moquette consunta e sporca e le camere vecchie ma pulite, moquette sempre a parte. Comunque 318 yuan abbastanza ben spesi.
Sono le 20.15, dove si mangia? E' già buio, i 2 fusi orari di differenza che con indifferenza a Pechino rifiutano di concedere riportano il sorgere e calare del sole a ritmi più normali per la latitudine cui siamo. Infatti era alquanto strano vedere ancora il sole alle 9 di sera, seppure basso all'orizzonte, e l'alba alle sette e mezza. Purtroppo il Beijing Time vige in tutta la Cina, sia che ci si trovi a Shanghai sia a Urumqi, a 5 ore di aereo di distanza a Ovest, quando dovrebbero esserci almento tre se non quattro fusi di differenza.

Troviamo, quasi per caso, a dieci metri dall'ingresso dell'hotel, dopo aver fatto il giro dell'isolato, un ristorante con una tavolata di colleghi che banchetta allegramente, i tavoli stretti e coperti da una tovaglia di simil- cellophane, sottile e quasi aderente. La pulizia dei tavoli è garantita, i piatti e bacchette sono addirittura sigillate nella plastica, il pavimento è coperto di mozziconi e avanzi di cibo, all'ingresso due catini dei panni contengono delle bestie vive tutte attorcigliate nell'acqua, a metà tra anguille e serpenti.
Scettici ordiniamo da menù in cinese ma con delle fotografie realistiche, un piatto di tofu impanato e fritto con sesamo e peperoncino e degli spiedini di carne impregnata e coperta di peperoncino. Una delizia entrambi i piatti, anche se la bocca è in fiamme.

La città alle 20 è già spenta, sarà il buio che qui arriva presto, sarà che il viaggio è stato massacrante, ma si respira un'aria stanca, sonnolenta, tutti i negozi sono chiusi, tranne qualche piccolo buco che vende vestiti, le uniche luci in una schiera di edifici bui; i ristoranti stanno pulendo e tirando su le sedie, del resto qui tutto è ancora regolato dalla luce del sole, nonostante l'elettricità e gli orologi.

A letto presto, tra una gara di pallavolo alle Olimpiadi e una pagina di un bel libro su Manhattan


10.8.08 h 17.50
Xiling Gorge



Arriviamo alla prima delle Tre Gole che il sole sta sorgendo, sono appena le 6 e mezza. La Gola Qutang è la più corta e la più stretta, solo 150 metri ora che il livello del fiume si è alzato di 145, prima doveva essere una vera meraviglia.
Tutta la zona doveva essere una meraviglia, con gole rassomiglianti a quella del Balzo della Tigre, forse ancora più bella in base a quanto si può vedere nelle fotografie d'epoca, gorghi di acqua marrone d'estate e verde limpida d'inverno, in fondo a precipizi coperti di alberi, qualche isola di sabbia ai bordi.

L'escursione prevista è nelle Piccole Gole, che sono scavate dal fiume Daning, un affluente dello Yangtze sulla cui confluenza sorge la città di Wushan. Cambiamo imbarcazione, saliamo su una barca più piccola che più agilmente riesce a risalire la corrente del fiume Daning, incredibilmente verde già a poche centinaia di metri dallo Yangtze. Anche queste gole (la Gola del Ponte del Dragone, la Gola Vaporosa e la Gola Verde Smeraldo) sono state incredibilmente sovvertite nella loro bellezza originaria pur mantenendo un'attrattiva sicuramente maggiore rispetto alle ben più famose Tre Gole. Un ponte all'ingresso della Gola del Ponte del Dragone, di un arancione intenso, sta finendo di essere riassemblato qualche chilometro più a monte, qui in questa zona di “ricollocamento” non si è buttato via nulla, i ponti smontati e ricostruiti dove serviva (incuranti delle necessità degli abitanti della zona non ancora ricollocati o che potevano rimanere), le case distrutte non con la dinamite o bulldozer ma a mano dagli stessi occupanti, pietra dopo pietra per poi ricostruirle in zone più sicure. Queste gole, sebbene profondamente mutate, riescono ancora a trasmettere un fascino e un timore nei confronti della Natura, cosa che, almeno personalmente, non mi è stata trasmessa dalle Tre Gole, al pari delle Gole dell'Irawaddy nello Stato Kachin (Myanmar), a nord di Shigu tra Bhamo e Mandalay, o la più recente Gola del Balzo dell Tigre. Sulle pareti della Gola Vaporosa, quella intermedia, si possono osservare delle fenditure orizzontali nelle pareti verticali che contengono delle casse da morto: sono vecchie di oltre duemila anni e sono un metodo di sepoltura tipica dell'etnia Ba (si possono osservare anche nella zona di Leshan e Yibin), per cui più in alto si metteva la tomba e maggiore era il grado sociale del defunto. Un vero e proprio mistero il modo in cui siano state costruite, praticamente a strapiombo centinaia di metri sopra il corso del fiume, su una parete liscia quasi come il marmo.

Ma sono le Mini Gole (Lesser Lesser Gorge), formate dall'affluente del Daning, il fiume Ma Du, cui si accede solo dopo aver lasciato anche questa imbarcazione ed esser saliti su dei sampan a motore in piccoli gruppi, che fanno entrare in un mondo incantato, pareti strettissime, foresta quasi a picco nel fiume, acque cristalline (quasi) e un silenzio interrotto solamente dal verso di qualche animale e dal flauto di un eremita in una tenda in cima alla montagna, praticamente una persona messa lì apposta per i turisti che, magicamente, inizia a suonare il suo strumento quando vede arrivare il sampan. Anche in queste mini gole il paesaggio originario era completamente diverso, il fiume un corso strettissimo, di qualche metro di larghezza, difficile da transitare tant'è che le imbarcazioni venivano fatte passare attraverso le rapide assicurate a delle corde trainate da gruppi di uomini nudi, che camminavano sulle rocce viscide. Nelle Piccole Gole, addirittura, si formavano nelle stagioni di secca, delle spiagge di sassi e sabbia con banchetti di cibo e articoli di ogni genere, per turisti e non, offrendo un piacevole diversivo e momenti di relax a seguito della difficile traversata.
Tra andata, da Wushan alle Mini Gole, e ritorno passano quasi quattro ore, sicuramente la parte più bella di questi due giorni sullo Yangtze, ormai le Tre Gole sono un lontano ricordo di ciò che erano e, a parte le montagne maestose, che un tempo erano a picco perché le pareti partivano verticali dalla riva del fiume mentre ora salgono angolate dallo Yangtze alla cima, perdendo maestosità, sembra di scorrere su un fiume placido, sporco che attraversa una regione diversa dalle altre.

Riprendiamo la crociera passando nella seconda gola a valle di Wushan, la Gola Wu, un tempo famosa per una montagna maestosa che la controllava, il Picco della Dea, ora il picco si è drasticamente avvicinato annullando l'effetto di maestosità che avrebbe dovuto trasmettere.

L'ultima gola, la più lunga (oltre sessanta chilometri) e la più profonda, è quella meno coinvolgente, vuoi perché qui siamo a ridosso della Diga e quindi il livello del fiume è salito più che nelle altre zone, vuoi perché le montagne salgono dolcemente e i picchi sono distanti tra loro, dando l'impressione di essere più su un lago stretto e allungato che nel fiume più importante e più pericoloso della Cina.

Nel pomeriggio c'è una spiegazione della Diga delle Tre Gole, organizzata dallo staff della nave, interessantissima perché mette in chiaro i molti dubbi che ancora avevo sull'importanza della costruzione e perché, stranamente, il linguaggio usato dal direttore della crociera, un ragazzo cinese di una trentina d'anni è stranamente e sorprendentemente schietto, parlando di vantaggi, svantaggi, corruzione e altri argomenti “spinosi” (non me lo sarei aspettato, tenendo conto che la CNN si vede solo nelle cabine dei passeggeri non Cinesi, a basso volume e non incrementabile).

Intanto attracchiamo nel “reservoir” creato dalla diga, un lago di un paio di chilometri di ampiezza che preme con una forza incredibile sulle pareti della diga. Il fiume, già di per sé non attraente per via delle acque color caffelatte, è una schifezza, una patina biancastra lo ricopre e vi galleggiano oggetti e resti di cibo di tutti i tipi. Proprio questi sono i primi problemi della diga.

09.8.08 h 11.30
Dongfu

Attracchiamo nella notte a Feng Du, centosettantasei chilometri da Chongqing e poco meno di 5 ore di lenta discesa dello Yangtze, con la barca che con il suo rollio concilia il sonno, che per la prima volta arriva non leggendo le pagine di un libro ma guardando la cerimonia di inaugurazione dei Giochi Olimpici: facciamo appena in tempo a veder sfilare l'Italia che cadiamo in un sonno profondo, interrotto solamente da una lunga sirena nel cuore della notte.

Colazione Western- Chinese style e poi i vari gruppi si dividono per le escursioni guidate, chi affronterà circa 900 scalini per vedere la “Città dei Fantasmi” in cima a una collina (con i templi sul Monte Mishan pieni di illustrazioni sui vari strumenti di punizione dell'Inferno Cinese e demoni vari) chi, come noi, un viaggio in minibus per il più interessante e in linea alla mentalità cinese di esodo forzato, uno dei tanti “villaggi ricollocati”.
Tredici città, centoquaranta paesi e 1352 villaggi saranno sommersi entro ottobre e definitivamente nel 2009 con il completamento della Diga delle Tre Gole, oltre a 657 industrie e 570.000 acri di terreno agricolo con un esodo forzato di un milione e mezzo di persone. L' “Opera più maestosa mai costruita dall'Uomo”, naturalmente dopo la Grande Muraglia, iniziata nel 1996 e con un costo che supererà i cento miliardi di dollari, avrà numeri impressionanti, oltre due chilometri di lunghezza e una base di centotrenta metri e innalzerà il livello del fiume di 175 metri, fino a Chongqing, cioè seicento chilometri a monte. Numeri impressionanti che solo questa gente può partorire e mettere in pratica, incuranti della flora, della fauna e delle persone che per millenni ci hanno abitato. Ma la crescita economica della Cina ha un prezzo e lo stradicamento di un milione e mezzo di persone vale la pena pagarlo, almeno per il Governo Cinese. Ufficialmente la costruzione della diga servirà per il controllo delle piene del fiume, per l'irrigazione e per migliorare la navigazione, in realtà questo gigante che consuma petrolio per far funzionare le proprie industrie a ritmi sempre maggiori, cerca di sfruttare ogni caratteristica del proprio territorio pur di creare elettricità, anche a costo di cancellare per sempre un opera d'arte della Natura come le Tre Gole.

Il breve tragitto verso la città vecchia di Feng Du passa attraverso una zona piena di ruspe e camion carichi di detriti che stanno sbancando la riva del fiume, dove prima c'era un villaggio di contadini, con una sfera posta emblematicamente in mezzo a una spianata esattamente nello stesso punto in cui c'era il centro del villaggio. I fianchi della collina sono tutti in costruzione, immense opere di consolidamento degli argini di quello che sarà il nuovo Yangtze.
La guida ci spiega, non so se sinceramente o se questo è quello che le hanno insegnato o se si è autoconvinta, che la vita è migliorata, hanno case più grandi, vie pulite, non ci sono più gli odori nauseanti tipici dei vecchi villaggi claustrofobici tipicamente asiatici. Prima viveva con tre generazioni della sua famiglia in una casa di venti metri quadrati, ora vive in centoquarante metri quadrati, pagati solo 5000 dollari. Prima voleva andare a vivere in una città, Chongqing, ora le piace stare nella città nuova sorta quindici anni fa, sulla riva sud del fiume, moderna con un skyline di grattacieli che contrasta con il villaggio ricollocato al di là del fiume, giovane ma già affollata di case e grattacieli a rubarsi il poco spazio che c'è tra la montagna e il fiume.
Il villaggio ricollocato è un paese fantasma, una strada lunga e diritta, polverosa, vuota, coperta ai lati da mais, riso e altri cereali a essiccare, qualche pollo che si nutre da queste cataste, per il resto non un anima viva per le strade. Tutti chiusi nei loro stanzoni bordo strada in attesa di avviare un'attività, giocano a carte, a scacchi o a mah-jong. Altre attività già iniziate sono in attesa di acquirenti che forse non arriveranno mai. Un senso di desolazione provato prima d'ora solo in Corea del Nord, fuori Pyongyang. Come costruite sono le visite a due abitazioni di contadini ricollocati, le “nuove case” che agli occhi del governo Cinese dovrebbero essere migliori ma che non reggono il confronto con la peggiore guesthouse di Bangkok, a 1 dollaro a notte, posti dove nemmeno una notte si riuscirebbe a stare. Costruite da appena 8 anni ma già con le crepe nei pavimenti, nei muri, con le turche al posto dei gabinetti (almeno hanno il bagno in casa qualcuno potrà dire), il tetto utilizzato come riserva idrica pieno di zanzare e insetti che svolazzano tra panni stesi. La casa “migliore” è una di fronte la scuola con una bottega di tutto e niente, proprio di fronte alla scuola e per questo la più bella e ampia. Tre fotografie sono esposte nella sala principale, in mezzo alle quattro camere da letto con letti vecchi e sporchi coperti da materassi di bambù, fotografie che ritraggono un giovane ex presidente in visita al villaggio ricollocato e che, paternamente, osserva le “meraviglie” di queste nuove case. Domande scontate, quasi imbarazzate sul nulla, a che ora apre e chiude il negozio, in quanti vivono in questa casa, quando la domanda più spontanea che mi viene in mente ma che non faccio per dovere di ospitalità è
“Siete felici adesso?”

Ci racconta che il governo centrale ha concesso ad alcuni di questi contadini “ricollocati” la possibilità di avere un secondo figlio, spiegandoci come funziona la politica del “figlio unico”. Solo le etnie non- Han hanno la possibilità di avere più di un figlio mentre per gli Han dopo il primo figlio sei soggetto a multe, dall'equivalente di 1500 dollari per un contadino in una zona rurale, fino ai centomila (CENTOMILA) dollari di multa se hai la sfortuna o non hai i mezzi di comprarti un preservativo a Shanghai, dove non vivono solo miliardari. Inoltre, se sei un dipendente pubblico o lavori per un'industria a partecipazione statale, perdi anche il posto di lavoro. In alcune zone rurali le multe vengono evitate non registrando il nuovo nato: ciò, tuttavia, non fa altro che aumentare il livello di degrado culturale perché la tessera di registrazione dà la possibilità, tra le altre cose, di accedere all'istruzione gratis.

Questo è solo ciò che ci fanno vedere da vicino, la realtà è ben diversa. Lungo lo Yangtze si vedono edifici abbandonati, villaggi per non dire piccoli paesi con edifici alti, non le case vecchie, luride e decrepite dei contadini, e senza le opere di consolidamento delle rive del fiume che avevamo visto. Qui, quando si innalzerà il livello del fiume, chi rimarrà lo farà a proprio rischio e pericolo, lasciando una specie di Atlantide senza magnificenza o storia da raccontare.

La traversata scorre lenta, oziosa e placida come cercavamo, tra Olimpiadi alla televisione, un libro da leggere e un sonnellino osservando la riva dello Yangtze che scorre. Passiamo una serie di città, alcune sul lungo fiume, altre in collina ma, occhio e croce, non a livello di sicurezza in previsione della piena che ci sarà dopo il completamento della diga. Enormi scheletri di grattacieli, almeno una decina per ogni città che passiamo, giaciono incompiuti, neri come tizzoni di carbone. Una moltitudine di ponti unisce le due rive, altissimi e bianchissimi, sembra che dacché ce n'era uno solo quasi in prossimità della foce, ora i Cinesi abbiano preso gusto a costruirne i rapida successione, alcuni a poche centinaia di metri di distanza l'uno dall'altro.

Si è fatta sera, un cielo limpido con poche stelle e qualche luce che arriva dalle montagne, un sentiero di luci rosse attraverso cui la barca continua la navigazione, l'unica in questo tratto di fiume perché le solite imbarcazioni, piccole barche a motore e le enormi chiatte che trasportano carbone (si, ancora il carbone usato in Occidente fino a cinquant'anni fa) e altre materie prime.

Un imbarazzante spettacolo nella sala principale della nave, dove gli stessi ragazzi e ragazze che servono ai tavoli cambiano in successione dei costumi che rappresentano il modo di vestire durante le varie dinastie che hanno regnato sulla Cina per migliaia di anni.

08.8.08 h 8.08pm
Chongqing.

Per poco non perdiamo l'autobus per Chongqing a causa di una carta di credito che le impiegate dell'hotel non erano in grado di far funzioanare. Fortunatamente l'hotel è vicino alla stazione degli autobus, fortunatamente c'è qualcuno che parla un approssimativo inglese, meno male tutto ma quando alle 8.30 stanno ancora armeggiando con la mia carta di credito, senza apparente via di soluzione, mi saltano i nervi e inizio a imprecare sventolando il biglietto del pulmann, che partirà dopo soli venti minuti, sotto il naso di una ragazza tutta sudata per l'agitazione. Paghiamo in contanti e senza nemmeno salutare (con un po' di rimorso appena varcata la soglia) saliamo sul primo taxi di passaggio.
Con il pulmann per Chongqing abbiamo toccato il fondo dei peggiori e più pericolosi mezzi di trasporto su gomma e su terra cinesi, un vecchio autobus con i sedili in pelle consunti, sporco da far schifo, con l'acqua che entra copiosa dalle portiere, sotto un nubifragio incredibile. La strada è viscida come un parquet appena lucidato ma nonostante ciò l'autista in guanti bianchi (tutti qui usano i guanti bianchi per guidare, anche i minivan) sfreccia su questi 350 chilometri di autostrada facendo zig-zag tra automobili, camion e altri autobus. Un'autostrada pericolosissima, tutta curve e buche, ogni tanto segnalate con improvvisi birilli arancioni e bianchi in mezzo alla corsia, spesso lasciate lì coperte di acqua, e quasi impraticabile per via della pioggia, Un incidente ogni tanto di qualcuno che ha sbandato, uno rischiato da noi quando una macchina si è appena schiantata contro il guard- rail centrale e l'autista, per evitarla procedendo a tutta velocità, inchioda facendo intraversare il pulmann. Per non so quale grazia del signore, l'autista decide di fare l'unica cosa possibile per evitare di fare strike, accelerare per recuperare il mezzo e superare un camion che intanto era accanto a noi. Intanto il botto si avvicina ma proprio all'ultimo momento si crea un varco tra la macchina distrutta a sinistra e il camion a destra: ci è andata bene!

Arriviamo a Chongqing dopo quasi quattro ore, strana città, nata come penisola alla confluenza dello Yangtze e del fiume Jialing, la municipalità più popolosa del mondo con oltre trentatre milioni di abitanti, tanto che dal 1997 non è più capitale di provincia ma Municipalità governata direttamente, al pari di Pechino, Shanghai e Tientsin.
A un primo colpo d'occhio, appena scesi dall'autobus in stazione, è di essere in una Montecarlo dopo una catastrofe, una sintesi di Blade Runner e la Manhattan di “1997: Fuga da New York”. Gente, gente e ancora gente, confusa e caotica, che va e che viene senza una ragione apparente, automobili, taxi e autobus che si mischiano non in un traffico ma in una “marmellata di traffico”, perché l'nico termine che può esprimere la sensazione è la traduzione letteraria del termine inglese per identificare un ingorgo. Tutte intorno le colline a strapiombo su Chongqing, con palazzoni alti e stretti, gli uni accanto agli altri che sembra di non poter passare tra essi, proprio come a Montecarlo senza la pulizia, l'ordine e la bellezza che trasmette osservare quelle colline senza più una macchia di verde. Solo un Montecarlo trascurata, sensazione ancora più marcata quando arriviamo in centro, un vero e proprio distretto finanziario al pari della City di Londra o del Financial District di Manhattan, con le sue stradine tortuose che si inerpicano su e giù, claustrofobiche per via dei palazzi residenziali che sorgono a ridosso del marciapiede, con i loro trenta o quaranta piani circondati dalle grate alle finestre, panni stesi e condizionatori che pisciano ruggine lungo il fianco della casa.
Financial District che sembra guardare alle città che ce l'hanno fatta prima: un grattacielo che ricorda l'Empire State Building, un'altro che sembra il Municipal and Government Building di Tokyo, solo meno arzigogolato e più lineare. La strada principale, isola pedonale con grandi alberi al centro che servono a dare un po' d'ombra in questa città infuocata e umida, è fiancheggiata dai grattacieli e presenta una torre dell'orologio al centro, marchiato Rolex come le tante boutique di orologi e gioielli della zona.
Ma basta entrare per una qualunque delle perpendicolari che sembra un altro modo, le solite bancarelle di cibo, edifici fatiscenti, proprio accanto a mostri ipercontemporanei e ipertecnologici. Una casa di tre piani, mattoni e pietre ormai quasi nere per l'età e la sporcizia, senza finestre e i soliti ballatoi bui e pieni di panni stesi, sorge proprio ai bordi di un enorme scavo dove sorgerà l'edificio più alto di Chongqing, simile alla torre più alta del mondo attualmente, quella di Taipei, che cambierà radicalmente lo skyline di Chongqing, rendendola più simile a Shanghai che non a Chengdu o Beijing.



Facciamo scorta per i tre giorni di crociera in un Carrefour, il primo supermercato occidentale che incontriamo, curioso per avere un'idea dei prezzi e fare un raffronto. 1 chilo di riso costa, della qualità migliore, 50 centesimi di euro (da qui le sommosse nelle campagne delle ultime settimane contro il rincaro del genere alimentare di prima necessità), una ricarica di Raid contro le zanzare 90 centesimi di euro contro gli oltre 4 euro dell'Italia (bastardi!), i chilo di pomodori 80 centesimi, una birra in lattina dai 10 ai 30 centesimi di euro. Facciamo una spesa di 3 sacchetti colmi con birra, acqua, dolci e salato per 13 euro.

Sotto i cavalcavia che circondano quasi ad anello la penisola si è creata una città parallela di derelitti e senzatetto. Attirati senza dubbio dai grattacieli di Chongqing e dalla parvenza di lusso, non hanno avuto la possibilità, o le capacità, di crearsi un posto nella società cinese che negli ultimi venti anni, dalla rivoluzione economico- culturale e sociale di Deng Xiao Ping, ha creato milioni di nuovi ricchi (ricchi all'Occidentale) e dal nulla una classe media, prima inesistente, capace di andare in ferie, avere un cellulare, qualcuno, un'automobile.

Ci imbarchiamo sulla Victoria Empress dai moli Chaotanmien, all'apice della penisola a forma di virgola, formata dal fiume Yangtze che scorre a sud e dal fiume tributario, il fiume con le barche tutte uguali e tutte “Victoria”, giaciono in attesa trenta metri più sotto. Delle cabine metalliche che scorrono su binari lungo la parete del lungofiume portano alla barca. Sembra di entrare in un hotel, moquette ovunque, aria condizionata che dà soddisfazione e fa venir voglia di coprirti, personale che dal primo all'ultimo parla inglese, una quantità di Cinesi impiegati anche nelle mansioni più inutili: la banda che ti accoglie all'ingresso, una schiera di ragazzi e ragazze che formano due ali pronte a salutarti ogni passo che fai. Proviamo a chiedere l'upgrade per la suite, un miniappartamento di 40 metri quadrati con mega schermo LCD, Jacuzzi e balcone sulla prua della nave con una vista magnifica della navigazione.
“onethousandfivehundreds US Dollars”
e io che contrattavo a mille convinto che si riferisse a Chinese Yuan! Direi che 1000 euro per due giorni di navigazione mi paiono eccessivi, pur con tutti i comfort del caso, e ci accontentiamo della nostra minicabina con balcone giusto giusto con due sedie.

Cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi di Beijing 2008. Penso sia una delle pochissime volte che la guardo in diretta, quasi tutta, perché capito nello stesso fuso orario dei Giochi e non sono costretto a levatacce mattutine o a improbabili pomeriggi davanti alla televisione e perché ho a mia disposizione uno schermo in un posto che non mi permette altri svaghi.
Alcune considerazioni.
1.i bambini di tutte le etnie che portano la bandiera cinese: penso che se chiedessimo a ciascun abitante delle etnie rappresentate (soprattutto Tibetani e Uiguri) cosa ne pensano, otterremmo una risposta, quasi sottovoce, di forte critica. In un Paese dove gli Han, l'etnia predominante, quasi l'ottanta percento della popolazione, sta “cinesizzando” tutte le provincie, vuoi per trovare nuovi spazi alla sovraffollata costa orientale, vuoi per stemperare gli istinti indipendentisti imbastardendo la popolazione;
2.è contro lo spirito Olimpico, che tanti cessate il fuoco ha portato nell'antichità e tantissimi altri, forse troppi, ne ha richiesti dal 1896, anno della prima Olimpiade moderna, che la bandiera del Paese ospitante sia portata da 8 militari, vestiti di tutto punto che con un sincronizzatissimo passo dell'oca portano al pennone;
3.una serie di politici ingessati, con le facce quasi sempre impassibili, solo un Hu Jintao, premier cinese, spesso in piedi a salutare e con un sorriso sulle labbra. Per il resto mostri da preistoria che sfigurerebbero davanti alla faccia di cera di Mao, imbalsamato a pochi chilometri di distanza;
4.sfila il gruppo di Taiwan, l'odiata provincia ribelle, con un'ipocrita bandiera del Comitato Olimpico, non con i colori nazionali.

Siamo in attesa di staccarci dal molo di Chongqing per iniziare la discesa, si sta facendo notte e pian piano i mostri d'acciaio del lungofiume si accendono di luci colorando le sponde. C'è un silenzio irreale, interrotto solamente dalle voci dei marinai che vengono dalle chiatte che scivolano sullo Yangtze.

16 commenti:

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